Il muro era
là, altissimo, e delimitava la strada da qualcosa che restava invisibile. Ogni
giorno lei usciva dal suo appartamento per affrontare la monotonia delle cose,
della solita vita, e ritrovava quelle pietre di selce, una sull’altra, su in
alto, a coprire la vista. Era una vecchia strada la sua, irregolare e tortuosa,
ma lei vi abitava da sempre, e tutto negli anni era rimasto invariato. Poi,
sopra a quel muro, in un giorno qualsiasi, era apparsa una scritta:
“VIA. LONTANO
DA QUI!”, diceva.
Inizialmente a lei aveva dato
fastidio che qualcuno si fosse permesso di imbrattare il suo muro, poi aveva
pensato che in vita sua non era mai riuscita a vedere cosa ci fosse oltre quel
perimetro costituito da sassi e da calce: forse era lì la spiegazione di tutto.
Abbattiamo tutto ciò che ci offusca la vista, era questa la spiegazione
probabile di quelle parole, e lei era in parte d’accordo.
Ci aveva
pensato, non avendo nient’altro da fare, per degli interi periodi uscendo da
casa, e si era convinta poco per volta che la chiave di tutta la storia era là,
subito oltre quella barriera alta e invalicabile. Il tempo, con la sua cadenza
costante, aveva continuato a trascorrere senza che niente di nuovo avvenisse, e
anche la scritta a vernice sul muro era andata poco per volta sbiadendo e
perdendo importanza.
Fu soltanto
dopo un periodo ulteriore durante il quale lei aveva iniziato a provare un
leggero malessere dovuto all’indifferenza di tutti coloro che abitavano nella
sua medesima strada, che pensò a quanto fosse stato opportuno prendere un po’
di vernice e ripassare la scritta, in modo da renderla di nuovo leggibile e
attuale. Acquistò quanto le poteva servire, e con tutta la calma e la
concentrazione che poteva essere utile, una sera si apprestò a compiere quanto
aveva deciso. Ma fu vista, e compreso ciò che stava per fare, fu chiamata
d’urgenza l’autorità.
Ridotta in
condizioni psicologiche tali da non poter più intervenire, lei per un lungo
periodo credette seriamente di cadere ammalata, tanto la prostrazione in lei
era forte. Nel suo appartamento al piano terreno, da sola, a volte si
affacciava all’unica finestra da cui si vedeva quel muro, e cercava di
immaginarsi con qualsiasi sforzo cosa potesse esserci oltre le pietre: degli
orti, dei giardini, forse dei fiori stupendi ricchi di colori e profumi,
varietà botaniche ignote, intrecci di foglie larghe e verdissime capaci di
intercettare qualsiasi goccia di fresca rugiada potesse cadere dal cielo.
Immaginava una terra scurissima e fertile, lavorata ogni giorno da mani
sapienti che ne riuscivano a sfruttare qualsiasi potenzialità, e poi tanti
piccoli solchi disegnati con precisione parallelamente a quel muro, a seguirne
le linee come direttive di sintonia naturale, e piccole canne allineate e con
la medesima altezza inserite dentro al terreno in maniera precisa e metodica, a
sorreggere lo stelo delle piccole piante incapaci da sole di resistere al vento
e alla pioggia. Forse nei suoi pensieri avrebbe fatto di tutto per valicare quel
muro, ma nei fatti se ne sentiva incapace.
Arrivarono un
giorno degli operai con l’escavatore ed il camion, ed in pochissimo tempo
aprirono un varco che subito richiusero con un provvisorio cancello di legno.
Lei andò lì, a fine sera, quando se ne furono andati, socchiuse il cancello e
vide finalmente ciò che aveva sempre voluto vedere: un piccolo sentiero
congiungeva due case, il terreno era incolto e i radi cespugli presenti
apparivano tutti polverosi e pieni di spine. Ma una mano aveva scritto qualcosa
sul muro, da quella parte rovescia, ed era la medesima frase che lei già
conosceva, come a dimostrare l’indifferenza con cui si poteva osservare una
faccia o quell’altra, interpretando il punto di vista di qualcuno che non
comprende chi non conosce, e non è a sua volta compreso da quello, come se si
volesse definire un elemento qualsiasi che taglia in due una realtà e lascia,
una volta compiuta l’operazione traumatica, due situazioni diverse, separate
per sempre.
Bruno Magnolfi
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