giovedì 3 settembre 2009

Più forte la solitudine.

           

            L’oscuro fondo di un giorno qualsiasi è il senso di vuoto e di inconcluso dei soliti gesti, degli stessi pensieri, delle medesime cose di sempre. Mario è lì, gira nella sua casa cercando con le mani qualcosa che sa perfettamente non potrà mai trovare, perché è dentro di sé ciò che cerca, soltanto dentro di sé, e solo la consapevolezza di questo a tratti gli procura un’angoscia sottile, lieve e costante. Non ha saputo reagire in maniera adeguata quando lei è andata via, adesso ne è del tutto cosciente. Peraltro non è stato un colpo di testa o una scelta improvvisa quella di lei; tutt’altro: il percorso è durato un lasso di tempo infinito, in cui lui ha assistito allo svuotamento progressivo del loro rapporto, il lento allontanarsi di loro percorsi, l’acquisizione di una distanza sempre maggiore. E’ stato terribile rendersi conto di quanto stava accadendo, assistere poco per volta ai meccanismi già in atto, vedere giorno per giorno quanto stava sfuggendo lontano da sé, dalla sua vita. Eppure Mario ha pensato e pensato tutto quello che era possibile fare, anche se poi non ha fatto niente di pratico, non ha trovato nessuna maniera per contrapporre una diga a quell’emorragia ormai in atto. Si è limitato a osservare, a rendersi conto, a capire che tutto avveniva indipendentemente dalla sua volontà. Ha analizzato se stesso, i suoi modi, i suoi comportamenti, fino a raggiungere la consapevolezza finale che non poteva dimostrarsi diverso da quello che è. Mario si reputa una persona qualsiasi, uno tra tanti come si possono trovare un po’ dappertutto, ma allo stesso tempo dentro di sé lui si sente diverso dagli altri, come se il suo modo di sentire le cose usasse un linguaggio ai più sconosciuto, intraducibile in termini noti. Certe volte è confuso e non sa spiegarsi il motivo, ma in altri casi vede con estrema chiarezza tutto ciò di cui il suo spirito avrebbe bisogno. Lei se ne è andata, ma non è un vero e proprio dolore quello che sente adesso dentro di sé, quanto la solita angoscia sottile che gli dimostra l’incapacità che ha avuto a mostrare se stesso anche a lei. Gli manca, è evidente, ma la sua solitudine non urla, ed è la prova evidente tutto il percorso era già inevitabile. Non sa spiegarsi perché, ma forse davanti a lei, alla sua dipartita, è riuscito soltanto a rimanere lì, immobile, senza riuscire a mostrare i suoi sentimenti. Adesso è da solo. La consapevolezza di questo gli procura una spinta verso il futuro. Gira per casa, cerca gli oggetti di sempre, poi trova qualcosa che immediatamente non riconosce: è un fermacapelli, una specie di spilla di foggia ordinaria, qualcosa che parla di donne senza specificarne una sola, ma lui in casa non lo ha mai visto avanti di adesso, non lo aveva mai notato neanche prima, quando lei presumibilmente lo stava indossando, e solo questa, anche se è una piccola cosa, gli sembra di straordinario rilievo. Riflette, cerca di trovare il nesso tra tutte le cose, infine ripone l’oggetto in un luogo qualsiasi, senza farne reperto di un periodo felice. Adesso Mario comprende come potrà superare il momento difficile: potrà proiettare dentro al presente tutto quello che gli è sfuggito del periodo passato, nel bene e nel male; riparerà poco per volta ai suoi errori, cercherà di essere meno ancorato al suo modo di essere, smonterà pezzo per pezzo i suoi modi cercando di farne affiorare gli sbagli evidenti, e infine sarà certo di andare un giorno da lei, ne è assolutamente convinto, a riportarle il suo fermacapelli.

            Bruno Magnolfi

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