Aveva
passeggiato a lungo nei vialetti del parco della città, godendosi il sole di
quel pomeriggio e rincorrendo i pensieri leggeri che le sfioravano ogni poco la
mente. Poi era uscita, attraversando l’ingresso con l’enorme cancello di ferro,
e si era soffermata davanti ad alcune vetrine di quel quartiere ad osservare
borsette e tailleur, soltanto per una normale curiosità, senza un effettivo
interesse; infine era salita sull’autobus per tornarsene a casa. Non c’era
niente che le piacesse di più di quel lasciar scorrere il suo giorno libero
camminando da sola senza una meta precisa. Le piaceva soprattutto quel tempo
indolente, quel perdersi in sguardi verso realtà per lei più inconsuete. Tanto,
lo sapeva benissimo, rientrando dentro al suo piccolo appartamento, tutto avrebbe
ripreso velocemente il suo corso.
Già aprendo la porta le sarebbero
venuti incontro i suoi doveri verso se stessa: riassettare tutto l’appartamento
sempre in disordine, togliere i vestiti sparsi sopra le sedie sistemandoli dentro
l’armadio, spolverare e pulire un po’ dappertutto; e poi pensare soprattutto al
suo lavoro: la relazione mensile da fare, preparare le lezioni dei giorni
seguenti, migliorare poco per volta il suo ruolo di insegnante di scuola elementare.
Sua madre l’avrebbe chiamata al telefono, poco più tardi, quella sera come
tutte le sere, più o meno alla solita ora; solo per dirle le cose di sempre,
per chiederle ancora: “…ma non c’è proprio nessuno che ti interessi? E’ mai
possibile, eppure ti manca ben poco al compimento dei quarant’anni…”, e lei
avrebbe risposto nella maniera di sempre, che stava bene da sola, che non
sentiva necessità di conoscere proprio nessuno, e di legarsi ad un rapporto
sentimentale meno che mai, ma erano tutti discorsi che la spossavano ancor più
che riassettare la casa, specialmente in quelle ultime sere.
Era incinta, al primo mese, e aveva
deciso di tenersi il bambino. Solo lei lo sapeva, e non aveva certo intenzione
di rivelarlo a nessuno. Conoscere l’insegnante supplente che l’aveva invitata a
cena una sera, e aver finito per lasciarlo dormire con lei, a casa sua, era
stato un fatto così naturale, che quando lui aveva terminato quella supplenza
di due o tre settimane, lei lo aveva salutato come un collega, un amico
qualsiasi, senza chiedergli niente per un futuro impossibile, e facendo in modo
che lui non se ne uscisse con le solite frasi fasulle, volte a dar seguito a un
rapporto che di fatto non era neppure iniziato.
Così adesso solo lei lo sapeva di
portare dentro di sé quel grande segreto. L’avrebbe coltivata con tutto il suo
amore quella sua gravidanza, era questo il pensiero leggero e costante che più
di ogni altro accompagnava adesso i suoi giorni, e quando si fosse vista la
pancia lo avrebbe detto a sua mamma, e forse sua mamma sarebbe stata ancora più
disperata di adesso, ma che cosa importava, non ci sarebbe stato mai niente di
maggiormente importante della sua decisione, sarebbe andata avanti con chiunque
avesse voluto aiutarla, e il suo amore sarebbe nato dentro di lei, poco per
volta, a cambiarle dolcemente la vita.
Bruno Magnolfi
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