La mia casa è sotto al margine del cavalcavia di un
sentiero poco frequentato che scavalca l’autostrada. Quando mi metto a dormire,
durante la notte, mi sembra di vivere il confine tra la civiltà e la natura. In
quel punto, attorno a quella mia specie di abitazione, ci sono solo campi verdi
a distesa tra file sfumate di alberi, e per arrivare al paese più vicino ci si
impiega a piedi più di mezz’ora. Sopra la mia testa transitano pochi mezzi, lungo
quella via non ci passa quasi nessuno. In autostrada invece il traffico non termina
mai, è un fiume continuo di materiale umano e di merci che scorrono accanto a
me, quasi ai miei piedi. Certe volte mi chiedo se qualcuno che guida tutti quei
mezzi non immagina che ci sia io al margine della sua traiettoria, e poi qualche
volta sogno che qualcuno di loro si fermi e mi porti con sé. Non immagino un
posto preciso dove recarmi, però dentro di me formicolano spesso così tante
voglie che devo per forza ricacciarle all’indietro, e questo, penso, non è da
persona, ed io, certe volte me lo ripeto per darmi più forza, sono una persona,
anche se sono da solo, e anche se sono arrivato fin qui non mi ricordo neanche
più in quale maniera. Ho ricavato due pareti con delle lamiere lungo il margine
del cemento armato del ponte, e davanti a me, con delle assi di legno, mi
chiudo la notte all’interno del mio spicchio di mondo. Il rumore continuo del
traffico sull’autostrada è fortissimo, però ci si abitua. Ho una vecchia
bicicletta con me, e con quella durante le belle giornate arrivo fino al fiume,
e lì a volte mi lavo, prendo l’acqua che mi serve per la mia casa, mi siedo,
osservo la natura bellissima di quella campagna. Qualche volta, di giorno,
passano da sotto al cavalcavia gli operai che svolgono le manutenzioni, oppure le
squadre per il taglio dell’erba al margine dell’autostrada, con i loro trattori
giganteschi, le attrezzature meccaniche e tutta una serie di segnali luminosi
bellissimi, e a volte mi salutano, mi gridano qualcosa nella loro maniera: sono
calabresi, rumeni, marocchini. Certe volte li invidio, mi sembrano persone
importanti, svolgono un mestiere che li pone al disopra di tutti: lavorano per
gli altri, penso, per la sicurezza di quelli che non si accorgono neppure che
c’è chi li veglia. Ho conosciuto Artur, un giorno, uno della manutenzione
dell’autostrada, con la polvere e l’asfalto appiccicati sui suoi vestiti
arancione ed il viso di chi non ride mai. Ha detto che la vita è uno schifo, ma
io gli ho sorriso, non poteva dire sul serio. In primavera l’erba cresce giorno
per giorno, siamo già usciti da questo inverno freddo e piovoso, tra qualche
mese lavorerò nei campi vicini a raccogliere gli ortaggi, poi i pomodori, forse
mi prenderanno per tagliare l’uva. La mia vita è naturale, con la luce del
giorno e con le stagioni, ed i miei sogni viaggiano con gli autoarticolati che
passano davanti a me. Sembrano tutti uguali, ma non è vero. Uno di loro prima o
poi mi porterà via, in fondo a questo braccio di autostrada, e sarà là che inizierà
tutto il riscatto della mia vita. Ci sarà qualcuno su un camion che si fermerà
sulla corsia di emergenza, sorriderà senza chiedermi niente, ed io andrò
assieme a lui e mi ricorderò che sono anch’io come lui, una persona, e tutto
inizierà ad andare in maniera migliore, ed il futuro mi farà scordare del tutto
di avere abitato sotto questo cavalcavia. Forse tornerò indietro, un giorno in
cui tutto scorrerà per me nella maniera migliore, cercherò di ritrovare questo
cavalcavia, e gli alberi, i campi, anche il fiume, e aspetterò la squadra della
manutenzione dell’autostrada, e sarò tanto contento di ritrovare tutte quelle
persone, perchè potrò dire ad Artur che si era sbagliato, che la vita non era
come diceva lui.
Bruno Magnolfi
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