giovedì 19 novembre 2009

Tranquillamente nevrotico.


            E’ sempre stato il tempo il mio vero tiranno. Per questo ho sempre portato l’orologio al polso; in ogni momento, anche di notte. Persino a letto. Proprio per sconfiggerlo. Minuto su minuto. Perché solo la puntualità è stata sempre la mia vera alleata in questa dura battaglia. Il polso ticchettante. Perfino durante le ore di sonno. Ecco; quel semplice, lieve rumore regolare, da solo, mi ha sempre procurato l’inequivocabile e desiderata tranquillità. Perché una parte indubbiamente grande del problema è sempre consistita nella suoneria della mia sveglia sul ripiano accanto al letto. Per rimetterne l’orario giusto, è legge di natura tenere conto, come minimo, dei quindici minuti per la barba e per lavarsi, dei dodici per il caffè e la colazione, degli altri quindici per scegliere e indossare i vestiti con i colori giusti e le tonalità adeguate, dei venti per uscire, acquistare il giornale ed arrivare alla fermata del mio autobus. Anche l’autobus poi, una vera lotteria. In certi giorni è possibile vederlo transitare dalla mia fermata alle otto e dieci, altre volte alle otto e venti. In più, per quel tragitto in mezzo alla città, sostanzialmente breve anche se tortuoso, impiega in media venticinque minuti. Ma nei giorni di pioggia se ne superano abbondantemente trentacinque, per via del traffico. Insomma, arrivare alle nove esatte sul posto di lavoro e passare il tesserino magnetico dentro alla macchinetta della biblioteca, dove svolgo mansioni d’impiegato ordinario da diciannove anni, è sempre stato un problema. Già, perché non è solo il ritardo a spaventarmi. E’ anche l’anticipo con cui certe volte mi sono ritrovato davanti al massiccio portone della biblioteca (anche dodici, quindici minuti), che mi ha sempre fatto soffrire maledettamente. Per cui tutto quanto, da sempre, è determinato in grande misura dalla capacità di tenere conto di ogni variabile nel posizionare la suoneria della sveglia. Per questo, per essere sicuro che tutto si svolga bene e con i tempi giusti, ordinariamente mi sono spesso ritrovato, durante l’ultima ora di sonno, a svegliarmi anche quattro o cinque volte: proprio per controllare il mio orologio da polso, per sorvegliare che tutto il meccanismo funzionasse degnamente. Poi, qualche tempo fa, ho ritrovato un vecchio amico e abbiamo parlato di parecchie cose. Io ho annuito sorridendo a tutto quello che continuava a dirmi, ma quando, come giustificazione a certe sue manie, ha sentenziato che quando si superano i cinquant’anni non è più possibile riuscire a controllare certe piccole fissazioni, mi sono sentito come colpito da un’arma da fuoco. Mi è parso terribile. Per qualche momento ho addirittura creduto che si riferisse proprio a me, e sorrideva pure, di quella sua sortita, ma non ho replicato assolutamente niente. Però il giorno seguente, dopo aver meditato a lungo anche durante la nottata, mi sono tolto dal polso l’orologio. Ho iniziato, giorno dopo giorno, a cercare di andare a letto più tardi la sera, proprio per lasciar suonare a lungo la sveglia prima di spegnerla. Ho iniziato ad impiegare una maggiore cura nel radermi, ed ho preparato una colazione meno frugale. Così sono arrivato in biblioteca con un consistente ritardo per ben tre volte in una sola settimana. La direttrice si è meravigliata del mio comportamento, e mi ha richiamato ai doveri d’ufficio, senza che io avessi potuto controbattere. Ma dentro di me, mi veniva addirittura da sorridere. La battaglia che stavo conducendo era appena agli inizi, ma non potevo dirglielo, così sono rimasto in silenzio, con gli occhi bassi. Sono tornato a casa a piedi, un paio di volte, uscendo dalla biblioteca a fine orario. Forse ho impiegato parecchio tempo per arrivare fino a casa, ma ho attraversato una parte di città dove non vado mai. Sto pensando seriamente di fare la stessa cosa anche al mattino, magari uscendo da casa molto presto. Potrei anche cambiare itinerari, battere nuove vie, riappropriarmi di marciapiedi e scorci di strade che da tanti anni non frequento più. Il mio progetto è in pieno svolgimento, e francamente mi sento molto meglio, indubbiamente ho ritrovato una tranquillità della quale neppure ricordavo la possibilità. Ogni tanto sento ancora la necessità del mio orologio che ticchetta al polso la sua ineluttabile regolarità. Però m’impongo di evadere da quel pensiero, e forse prenderò un periodo d’aspettativa al lavoro, proprio per esplicare meglio questa mia esigenza. Ho iniziato ad essere sbadato, a dimenticarmi con facilità delle cose che invece dovrei ricordare, anche le più importanti, e sorrido delle mie gaffe, degli equivoci nei quali continuo ad inciampare. Credo di dover ancora affinare, e di parecchio, tutte le particolarità che il mio carattere sta mettendo a nudo, e sempre più spesso sto pensando che queste variazioni dentro alla mia vita erano un destino ineluttabile, una strada dalla quale era impossibile deviare. Forse questa strada non mi porterà da alcuna parte, però non è la meta che adesso m’interessa; è il percorso, il lento procedere verso un certo appuntamento di cui non so ancora nulla, neppure l’orario fissato, e di questo sto vagamente iniziando a preoccuparmi, visto che adesso non ho più neppure il mio orologio da polso a potermi assicurare la puntualità.


            Bruno Magnolfi

Nessun commento:

Posta un commento