I colori dell’acquarello erano
trasparenti, leggerissimi, e i contorni del disegno una linea sottile che
appena tratteggiava le cose. Quasi non esisteva senso nel disegnare, se non
quel dolce lasciarsi andare ad una fantasia leggera, che superava qualsiasi
intento, riusciva a prendere la mano e lasciare che la forma sul foglio
acquistasse la vita, diventasse colore, forma, illustrazione. Non c’era senso
nel fare un disegno qualsiasi, la semplice rappresentazione di un’immagine
vista. La cosa che toglieva il respiro era quel cercare di interpretare un piccolo,
infinitesimale, minuscolo frammento di vita, un pensiero esile e sottile fino a
quel momento celato dietro a chissà quali altri pensieri, mescolato dentro a chissà
quali altri ragionamenti ordinari, perso dietro a miriadi di altre cose, magari
più appariscenti, più forti, più importanti di tutto, eppure ammantate di
sciocchezze senza rimedio. Un gesto affettuoso che dura lo spazio di un attimo, e
si prolunga nel tempo in modo imprevisto, incorniciato nonostante il suo
bisogno di essere una cosa qualsiasi, senza importanza. Questo stava dentro al
disegno, e solo guardandolo spiegava da solo quanto era riuscito a scrollare da
sé la facilità di cadere in percorsi già visti, elementi sicuri di cose più
consuete. Lui lo aveva veduto il disegno, ne aveva assaporato in un attimo la
freschezza piacevole, ne era rimasto colpito pur senza comprendere il motivo
trainante da cui ne era attratto. Poi, una volta uscito dalla galleria d’arte,
aveva fatto un giro in quella serata piovosa, camminando sui lucidi marciapiedi
sotto al suo ombrello, con calma, ripensando al disegno, a quell’acquarello che
pareva parlasse di sé, della sua vita, dei suoi pensieri. Aveva riflettuto a lungo
su che cosa gli ricordasse quella figura di donna fermata in un gesto così
naturale, con l’espressione del viso leggermente ammiccante, come di chi ha
dentro di sé un lungo percorso alle spalle, un itinerario difficile, forse
sofferto, una strada impervia affrontata e forse non completamente percorsa.
Poi era entrato dentro a un caffè, si era accostato al bancone e si era fatto
servire un liquore, qualcosa che riuscisse a scuoterlo un po’. Alcune persone a
fianco e dietro di lui parlavano di cose ordinarie scambiandosi brevi risate e
conversando in modo piacevole. Infine lui aveva pagato la sua consumazione,
augurato la buonasera al barista, e riaperto l’ombrello uscendo da dentro al
locale. Fu allora che vide la donna, da sola, con un normale impermeabile
stretto alla vita e i capelli non lunghi e ben pettinati. Camminava lungo la
strada, con l’espressione di chi ha già affrontato più volte itinerari
difficili, eppure serena, immedesimata nei suoi gesti così naturali. Era lei
l’acquarello, ne era sicuro, era lei quel disegno denso di cose, di vita, di
elementi minuti eppure ben forti nella sua espressione; era lei che adesso
senza motivo riempiva con la sua presenza tutto lo spazio che c’era; era lei
che senza ricordare qualcosa di preciso, parlava di sé, solo passando, solo
camminando dove camminavano tutti; ed era lì, quasi per una magia, uscita dal
quadro per dare colore a quei marciapiedi, a quella strada bagnata di pioggia.
Bruno Magnolfi
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