venerdì 13 novembre 2009

Le regole sociali.

            

            L’interminabile corridoio dal pavimento di piastrelle chiare e lucide lasciava intravedere, lungo i muri a destra e a sinistra, due serie di porte grigie posizionate in maniera regolare e simmetrica tra loro, e la sala d’attesa a quegli uffici, ricavata mediante batterie di sedie collegate tra di loro e poste in quattro o cinque file uniformi nella larga sala che fronteggiava il corridoio stesso, era piena a metà di persone che attendevano pazienti il proprio turno.
Andrea era appena arrivato, si era seduto nel primo posto libero che aveva visto osservando contemporaneamente il suo talloncino numerato distribuito da una apposita macchina all’entrata, confrontandolo con l’altro numero che riportava il grande tabellone elettronico che fronteggiava tutta la stanza. Aveva immediatamente dedotto tra sé che avrebbe schiacciato in quella sala d’attesa non meno di una mezz’ora, forse anche molto di più, così aveva cercato con lo sguardo un qualche elemento confortevole che gli potesse far trascorrere quel tempo nella maniera migliore.
Ma poco dopo era arrivata lei, apparentemente una donna qualsiasi, forse quasi timida, ma di un modo di intendere la timidezza assolutamente fuori dal comune. Non aveva numero, naturalmente, solo una strana cartella con dentro fogli e documenti: si era soffermata un momento, quasi per prendere fiato, poi a voce alta aveva chiesto, senza riferirsi a nessuno di preciso, ma neanche parlando proprio a tutti, come funzionasse il meccanismo per accedere agli uffici. Qualcuno razionalmente le aveva detto del numero in funzione di ciò che aveva da trattare, ma quasi subito lei aveva tirato fuori le sue carte, spiegando le proprie cose e coinvolgendo più persone circa i propri guai. I suoi argomenti erano particolari, ma ciò che più colpiva era l’ingenuità con cui manifestava le sue cose, come se rifiutasse l’accesso a regole sociali da tutti accettate e confermate.
Infine si era stufata, forse anche troppo in fretta, di tutte le raccomandazioni che sembravano continuare a farle le due o tre persone che si erano occupate di lei, e togliendo d’improvviso interesse e importanza a ciò che aveva chiesto fino ad allora, si era seduta casualmente accanto ad Andrea, dopo essersi fatta consegnare un talloncino numerato da qualcuno dei presenti più gentile e paziente degli altri. Aveva subito sistemato bene quei fogli all’interno della sua cartella, tolto il soprabito, ravviato i capelli lunghi e sciolti, sistemato con attenzione e in  modo adeguato il proprio corpo sopra la sua sedia, accavallando le gambe in due o tre maniere differenti, invadendo di profumo l’aria intorno e guardando dappertutto come per carpire qualcosa che ancora non le era perfettamente chiaro.
Poi, come se non avesse ascoltato niente fino ad allora, aveva chiesto ad Andrea con fare distaccato, ma con voce calma e pacata, se era giusto l’ufficio al quale era stata consigliata di rivolgersi, e se andava bene fare tutta quella attesa per quei suoi piccoli problemi. Andrea, nella risposta aveva usato il minimo di parole disponibili, cercando di sviare l’interesse verso di lui, ma lei aveva insistito subito pungolandolo con due o tre domande abbastanza dirette alle quali era impossibile non dare seguito.
Era venuta in soccorso la persona accanto, che aveva detto il suo parere in modo simpatico e puntuale, ma a lei evidentemente non interessava affatto far parlare qualcuno che non fosse chi aveva deciso, così aveva chiesto ad Andrea se le teneva il posto mentre lei cercava il bagno. Tornò in un attimo, ringraziando con larghi sorrisi e con apprezzamenti impersonali per quegli uffici, cosa alla quale Andrea si mostrò subito solidale. Infine, sempre parlando, si alzò immediatamente quando si aprì la prima porta grigia lungo il corridoio, sparendo dentro a quell’ufficio e lasciando tutti come dei poveri scemi.

            Bruno Magnolfi

            

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