Aveva
preparato le spugne, un secchio con l’acqua, la scopa, si era osservata attorno
svogliatamente pensando alla polvere, ai panni accumulati sopra la sedia, ai
tanti altri oggetti di casa da pulire e rimettere a posto. C’erano da fare
parecchie cose, Marilena lo sapeva benissimo, eppure adesso restava lì,
nell’attesa quasi che tutto andasse avanti da solo, senza di lei, senza la sua
volontà. Quella miriade di piccole cose di cui preoccuparsi, accumulate un po’
per volta ogni giorno, senza fretta e senza particolare importanza, adesso la
indisponevano terribilmente.
Non
era tanto la mancanza di impegno il suo vero problema, quanto quel continuo e
rituale ripetersi di ogni gesto e della sua causa, la polvere che cade, i panni
che si accumulano sopra la sedia, lo sporco che va a finire sui pavimenti.
Pareva un’ineluttabile condanna quel correre dietro qualcosa senza vederne la
fine, come se fosse inevitabile perdere tutto quel tempo senza alcun risultato
definitivo, se non quel momentaneo risistemare le cose, che non durava quasi
niente, spesso neppure mezza giornata.
Poi
si sedette, osservò l’acqua immobile dentro quel secchio e si sentì sola, persa
e amareggiata del suo troppo pensare, di quella sua scrupolosa ricerca
razionale dell’esistenza nei gesti più stupidi, nei compiti più ordinari, nel
cercare di rendere le cose più simili alla loro radice. Le venne da piangere
per la rabbia che riusciva a provare dentro di sé, ma si riscosse, si cambiò
velocemente d’abito e decise di uscire di casa. Lo sapeva che al suo ritorno forse
si sarebbe sentita ancora più triste per le cose accumulate ulteriormente
grazie alla sua mancata volontà di affrontarle, eppure scese le scale con passo
leggero, come se ad attenderla ci fosse una giornata meravigliosa,
ineguagliabile, qualcosa da cui in nessuna maniera si sarebbe potuta permettere
di non lasciarsi coinvolgere. Rientrò dopo una lunga passeggiata, e tutto le
parve accettabile.
Bruno
Magnolfi