Mio padre ha
un ristorante, o meglio, un locale che è poco più di una bettola, davanti ad un
piazzale sterrato, dove all’ora di pranzo vengono a mangiare alcuni operai dei
cantieri vicini e diversi camionisti che si trovano a transitare lungo quella
strada provinciale. Il nostro appartamento è al piano superiore, ma ci andiamo
solo a dormire. All’ora di cena in trattoria si avventurano dentro anche
qualche coppietta con pochi soldi, e due o tre pensionati che abitano in zona.
La televisione, in alto, nell’angolo della sala, rimane perennemente accesa, e
ogni tanto io salgo sopra una sedia per pulire lo schermo coperto da una patina
di vapore untuoso.
Ogni
giorno, quando esco da scuola, vado lì e mi piazzo ad un tavolo libero. La
mamma, che lavora in cucina, mi porta le cose da mangiare e mio padre mi guarda
sempre con quell’aria come se stesse per farmi qualche rimprovero. Spesso i
clienti mi conoscono, qualcuno dice qualcosa ma io non rispondo quasi mai alle loro
domande spiritose. Al pomeriggio vado in giro, certe volte con un compagno di
scuola che ne sa sempre qualcuna più di me. I compiti e le lezioni li porto
avanti in fretta sopra ai soliti tavoli del ristorante, quando non c’è nessuno,
ma lo faccio sempre più svogliatamente.
Poi
sul piazzale incontro un camionista simpatico, che mi chiede ridendo dove abbia
parcheggiato il mio truck perché non lo vede; si ferma, smette di ridere,
chiede si mi va di andare assieme a lui a farmi un giro. Salgo in cabina e lui
mette in moto il mostro. Ha sganciato il rimorchio dell’autoarticolato, e così
si va per strada solo con il trattore. Si gira a caso, lui suona per far girare
qualche ragazza che cammina sopra al marciapiede, ogni tanto saluta qualcuno.
Mi
dice un sacco di cose, alcune neppure le capisco, poi esce dal paese, tira le
marce del suo camion e mi fa vedere come va forte quando è senza il carico.
Infine a una rotatoria torna indietro e mi riporta al piazzale sterrato,
accanto al ristorante; dice che non può permettersi di consumare troppo
carburante, il suo padrone potrebbe accorgersi che lo ha usato. Così scendo
svogliatamente, lo ringrazio giusto con un cenno per il giro, lui se ne va e io
mi fermo accanto a un muro, senza decidermi a far nulla.
Non
so cosa sia, ma non mi piace niente di tutto quanto; guardo l’insegna del
ristorante già accesa a quest’ora del pomeriggio, e mi sembra triste, quasi
senza scopo. Mio padre dice che se continuo così con la scuola inizierò a fare
il cameriere da lui, tanto ne ha bisogno. Non lo so se mi va, mi sento
indifferente a queste cose. Mi piacerebbe andarmene da qui, prima o poi, ma non
so neppure io dove, il mondo in fondo mi sembra tutto uguale. Poi, lentamente,
ritorno verso il ristorante, costeggio la strada e guardo la polvere che si
accumula sul margine. La vita non è niente di speciale, penso, non vale neanche
la pena farsi delle idee, tanto probabilmente non serviranno proprio a niente.
Bruno
Magnolfi
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