I
topi già da diverso tempo avevano iniziato ad attraversare il margine del mio
campo visivo. Succedeva maggiormente proprio nei momenti in cui mi sentivo
tranquillo, a posto, senza pensieri. Certe volte accadeva che io mi piazzassi
lì con la mente completamente sgombra da qualsiasi preoccupazione, ed ecco che
d’improvviso un branco di quei maledetti spiccava una corsa da un angolo per
andare a perdersi in qualche sfumatura lontana.
Agli
inizi quasi mi divertivo, non ci trovavo niente di male in tutto questo: spesso
arrivavano in due o in tre e si fermavano da una parte, mi guardavano con i
nasi per aria, poi tutto perdeva di qualsiasi consistenza. Naturalmente in
tutti quei casi io non davo loro alcuna importanza, anzi certe volte volgevo lo
sguardo da tutt’altra parte, come a mostrare quanto poco interesse nutrissi per
la loro presenza. Però mi ritrovavo in uno stato di agitazione, come se dovessi
sforzarmi per conservare la tranquillità che dimostravo, eppure ero lì, seduto,
senza che ci fosse qualcuno nei dintorni, a parte quelle bestiacce, a
disturbare i miei comportamenti.
Osservavo
con indifferenza la porta scura in fondo al lungo corridoio, le grandi vetrate
luminose che si aprivano su un fianco, le piastrelle chiare e identiche di cui
è coperto tutto quel pavimento. E’ una prospettiva usuale, monotona, che ho
guardato per centinaia, forse migliaia di volte, mi sono sempre trovato
benissimo per interi pomeriggi ad osservare le lente variazioni di luce là
dentro, non ho mai avuto sobbalzi di nessun tipo, neppure quando qualcuno ha
percorso quel tratto di corridoio fino alla porta. All’improvviso i topi
arrivavano, giungevano davanti ai miei occhi dal margine, e in genere erano
piccoli, rapidi, e come tante macchioline scure in movimento scivolavano sul
pavimento e dentro al mio sguardo, poi si fermavano, a volte scorrevano lungo
il muro di destra, altre volte attraversavano di colpo tutto quel corridoio, e infine
sparivano, come d’incanto, contro la porta sul fondo, marroni sopra al marrone.
Trovavo
odioso quello zampettare silenzioso sulle piastrelle, eppure non potevo fingere
a lungo che niente accadesse, così avevo iniziato a spostare il mio punto di
osservazione dalla parte opposta del corridoio. I finestroni pieni di luce mi rimanevano
così sulla destra, e in fondo a tutta la prospettiva osservavo una porta del
tutto simile all’altra, dalla parte opposta, vicino a dove mi ero piazzato, ma
che stava, al contrario di quella, perennemente spalancata. I topi parevano
spuntare proprio da lì, come se nelle stanze comprese in quell’ala
dell’edificio si annidasse tutta la loro congrega.
Perciò
mi alzai dalla sedia, mossi dei passi titubanti lungo quel corridoio, arrivai
fino alla soglia dell’uscio spalancato, misi la testa dentro alle stanze, mi
accertai che in quel momento non ci fosse nessuno, poi, quasi con impeto,
chiusi la porta, immaginando così di bloccare l’accesso a quegli animali.
Invece, quando mi voltai, rimasi del tutto sbalordito: davanti a me c’erano
decine di topi, da piccoli a grandi, di colori più chiari e più scuri, con le
code ora brevi ora lunghe, e tutti si erano fermati a guardarmi, con i nasi per
aria, come in attesa di una reazione.
Urlai
con quanta voce avevo dentro la gola, pur restando fermo dov’ero, non tanto per
richiamare l’attenzione di qualcuno, quanto per provare se con quel rumore che
producevo quei mostriciattoli se ne sarebbero andati, se fossi riuscito a
metterli in fuga, a farli sparire obbligandoli a zampettare velocemente lungo
quel pavimento. Al contrario, nessuno di loro si mosse, restarono fermi, continuarono
per lunghe frazioni di tempo a guardarmi, forse ancora più minacciosi di prima,
quasi fossero sordi ai miei urli, e solo alla fine, quando fu spalancata la
porta di fondo da qualcuno che veniva in soccorso, in quella folata di vento
che così si produsse, i topi sparirono tutti dal mio campo visivo, come non
fossero neppure esistiti, esattamente come non fossero mai stati lì.
Bruno
Magnolfi
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