Avevo
sentito dei rumori provenire dal corridoio, dei piccoli leggeri scricchiolii, e
trovandomi in casa da solo, dopo un po’ mi ero alzato dallo scrittoio per
andare a sincerarmi sulla natura e le cause eventuali di quanto avevo percepito.
Naturalmente non avevo trovato niente, ed i rumori erano presto cessati:
sembrava tutto assolutamente al suo posto, anche se qualcosa mi aveva comunque messo
a disagio, come se dietro quell’apparenza di consuetudini e di ordine negli
oggetti di casa, si nascondesse qualcosa di diverso, qualcosa di indefinito.
Tornai
a leggere il libro che con la sua trama semplice sapeva attrarre quasi tutta
l’attenzione di cui ero capace, fino a riuscire a trasportarmi al centro di
quelle parole, fin dentro alle cose descritte. Si trattava di una donna, una
persona qualunque, come se ne possono incontrare da qualsiasi parte; eppure la
vicenda interiore di quel personaggio, ne faceva subito una donna speciale, e
dentro a quel romanzo, poco per volta, lei diventava quasi un simbolo di tutte
le capacità delle quali una persona riesce a dar prova.
Leggevo,
e immaginavo tutto quello scenario, quel mare apparentemente neutrale che al
contrario dimostrava di essere metafora dell’ignoto e dell’inconoscibile,
quelle semplici vicende ora assurde ora ordinarie, e soprattutto lei, la
protagonista, né bionda né mora, coniugata eppure da sola, in mezzo a scelte
importanti tra memoria e futuro. Impossibile restare indifferenti: tutto questo
pareva l’allegoria di tutte le cose, la via di mezzo che sempre si pone tra una
certezza e il suo opposto, tra un pensiero e la sua realizzazione.
Tornai
ad alzarmi dallo scrittoio; qualcosa era parso soffiarmi sopra la faccia, come
se un poco probabile spiffero, giunto chissà da dove, arrivasse fin lì, in
quella penombra rischiarata solo da una lampada quasi appannata, utile giusto a
illuminare soltanto le pagine sotto ai miei occhi. Mi mossi, le tende erano
ferme, la stanza immutata, e i miei pensieri al contrario correvano dietro qualcosa
di cui non riuscivo a comprendere il senso, come un pensiero, una sensazione,
forse una folgore.
Mi
lasciai andare in una sonora risata, giusto per smuovere la sospensione che
pareva aleggiare, o per ascoltare me stesso, la mia voce, la capacità di
rompere quell’aria pesante, ingombra di frammenti di niente. Qualcosa parve
rispondere con parole appena mormorate nell’ombra, io volsi gli occhi verso la
direzione da cui provenivano, ebbi terrore per qualcosa che non potevo
assolutamente sapere cosa fosse, e infine tornai sui miei passi, verso quello
scrittoio.
Il
libro non era più lì, si era spostato, qualcosa o qualcuno ne aveva richiuso le
pagine, lo aveva sollevato, era andato a riporlo sopra ad uno scaffale della
libreria, in bella mostra, ma come se le sue ultime pagine non dovessero
lasciarsi sfogliare. Ebbi titubanza nel prenderlo, la debole luce che lo aveva
illuminato mentre lo stavo leggendo, pareva adesso emanare direttamente dalla
sua copertina; e quel magico azzurro del mare illustrato, pareva ora mostrarne quasi
la profondità, persino la trasparenza dell’acqua.
Mi
guardai attorno con il libro nelle mie mani: non c’era niente in quella stanza,
adesso ne ero sicuro, soltanto io coi miei pensieri. Girai per due volte
attorno allo scrittoio, cercai di riflettere su quanto stava accadendo, infine
decisi che avrei letto le ultime pagine: soltanto lì, forse, avrei trovato la
spiegazione di quanto non riuscivo a capire.
Bruno
Magnolfi
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