domenica 23 gennaio 2011

La normalità.


            

            Non c’è niente di buono là fuori, aveva detto l’uomo al suo amico mentre i due restavano seduti dentro al bar. L’altro lo aveva osservato, forse avrebbe voluto dargli ragione, tanto per giustificare un’altra bevuta, ma era rimasto in silenzio, aveva abbassato lo sguardo, aveva cercato di pensare a qualcosa che lo spingesse a rimettersi in strada, spingersi a casa, affrontare la sua solitudine, compiere i gesti consueti di sempre.
            Certe volte non riesco a far fronte nemmeno alle cose ordinarie, aveva detto a bassa voce, come confessando a se stesso quell’affermazione. So benissimo cos’è di cui devo occuparmi, eppure è come se non mi riuscisse. Resto fermo in un posto e non mi muovo, per nessuna ragione; i miei pensieri mi portano in fretta lontano, alla ricerca di qualcosa di nuovo e di diverso: vedo tutto quanto ciò che mi circonda e spesso vorrei farne parte, immergermi in quella realtà, ma non ci riesco, è più forte di me. Così resto immobile e poi me ne dispiaccio. Ci sono dei giorni in cui mi chiedo che cosa mai abbia fatto di cui possa ricordarmi con piacere fra un anno o anche di più, ma non mi pare ci sia proprio niente che meriti questo privilegio, così tiro avanti senza trovare una spinta ulteriore, e l’angoscia che provo è tale da lasciarmi privo di sogni, senza nessuna volontà.
            Non è il caso di abbattersi, diceva l’altro accendendosi una sigaretta; in fondo nessuno di noi può sentirsi troppo contento di quello che ha: tiriamo avanti senza neppure sapere per quale motivo, però è così, non possiamo cambiare in fretta tutte queste cose. Guarda questo posto: viviamo ai margini di una strada, e oscilliamo tra la casa e il lavoro soffermandoci ogni giorno in questo stupido bar, a volte passa da qui qualche ragazza e ci sentiamo dei furbi solo a darci di gomito e a farci qualche battuta. La verità è che non dobbiamo pensare: riflettere troppo su quello che siamo ci fa sentire ancora più a fondo, ci costringe ad essere coscienti di una vita insulsa.
            Va bene, diceva il primo poco convinto; ma che ne dici se uno di questi giorni prendiamo la macchina e ce ne andiamo da qualche parte, giusto per cambiare un po’ d’aria? Certo, aveva detto l’altro continuando a fumare, a te dove piacerebbe dirigerti? Non lo so, aveva risposto, forse dove ci sia da svagarsi, ecco. Mi sembra a volte che se riuscissimo a variare almeno qualche piccolo elemento, il resto potrebbe seguirlo in qualche modo. Va bene, lo faremo, ma non sono convinto che cambierà di molto questa situazione.
            Nel locale non c’era quasi nessuno, dietro al bancone il proprietario sistemava i bicchieri e le tazzine, loro due restavano seduti cercando di spingersi con i pensieri lontano da quel posto, come se quella normalità potesse essere gabbata, come se bastasse concentrarsi per poter cambiare almeno qualche cosa. Infine pagarono le bevute e uscirono fuori dal locale, soffermandosi sopra al marciapiede. Non lo so, diceva uno dei due, questi giorni sono tutti simili, e fuggono via senza lasciare niente. Non ha importanza tutto questo, rispondeva l’altro, già solo avere la coscienza di quello che ci capita, mi pare un buon inizio. Succederà qualcosa, prima o poi, e noi saremo pronti ad affrontare qualsiasi novità, perché già lo immaginiamo che le cose non potranno andare avanti ancora in questo modo.

            Bruno Magnolfi

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