Ernesto
è vestito elegantemente, addirittura con un fazzolettino di seta che sporge dal
taschino della sua giacca. Arriva sul palco con passi lenti, fumando la sua
sigaretta come se fosse talmente sicuro di sé da non aver bisogno di altro, se
non quel suo sguardo ipnotico, quasi malato, di chi vive delle proprie
convinzioni, e non ha bisogno di altro. Continua a fumare con i suoi gesti
lenti, la faccia quasi una maschera, si guarda appena un po’ attorno, giusto
per rendersi conto della scarsa mobilia da cui è circondato in quella stanza
dove adesso si trova, quasi non fosse la casa che abita, quella dove vive la
sua famiglia.
In
un angolo una donna sta lì, seduta, immobile, non dice niente, non fa alcuna domanda,
non ha bisogno di sentire la voce di Ernesto per sapere quello che pensa, e lui
semplicemente la ignora, o almeno finge che neanche ci sia, o di non averla
veduta. Lei guarda nel vuoto, ed è come se pensasse: a cosa serve vedersi,
parlare, scambiare delle opinioni attorno alle quali trovarsi probabilmente
d’accordo, oppure no? Neppure questo fa differenza. I miei pensieri spesso si
alzano accompagnati dal vento, come aquiloni, ed io certe volte mi perdo
seguendo le loro traiettorie. Nessuno mi segue in questi percorsi, così resto
distante da tutti, anche dal mio compagno, è così, è inevitabile.
La
donna si alza, fa due passi in avanti, si ferma davanti al pubblico immerso nel
buio, e dice d’un fiato: sto bene, non c’è assolutamente da preoccuparsi; questa
è la mia casa e qui dentro c’è tutto quello che nella mia vita sono riuscita a
desiderare. I vicini e i conoscenti mi fermano spesso per strada, dicono che
sono una bella signora, piena di vita e di allegria, si vede da lontano che
tutto mi va a gonfie vele. Io lascio dire, abbasso lo sguardo per timidezza,
forse mi schernisco perché, anche se non sono perfettamente d’accordo, certe
cose mi piacciono, mi fanno addirittura arrossire.
Perché
mai non dovresti essere d’accordo, dice Ernesto senza guardarla; in fondo
quello che vedono quelle persone, risponde a verità. Oppure pensi che sia
doveroso cercare di fingere qualcosa, affinché gli altri non stiano a chiederti
cose che ti potrebbero creare disagio? In un caso o nell’altro non risulti
essere affatto la persona che pensano, visto che certi aspetti dici ti
piacciono, però non sai sostenerli, non ti interessa dire la verità, perché
questa ti sembra vada a scapito di qualche altra cosa. Alla fine ti poni dentro
una gabbia, e spieghi però che stai bene così.
La
donna si volge lentamente verso il vestito elegante di Ernesto, poi torna a
guardare la gente immersa nel buio. Non ci sono delle ragioni precise, dice
pesando le sue parole; ma all’improvviso, dopo tutti questi anni, mi sento
completamente da sola. Ho tirato su questa casa, questa famiglia, ma alla fine
vedo che si è formata un’enorme distanza tra me e tutti gli altri. Per questo
forse rifuggo da tutto, ma il percorso non è solo mio, è l’incomunicabilità
generale che ci ha portati fin qui. Adesso mi accontento di sognare, e fingere certe
volte che i sogni siano la realtà.
Ernesto
si fa avanti, si rivolge al pubblico adesso con una espressione diversa, getta
a terra la sua sigaretta, muove una mano come in aiuto alle parole che vorrebbe
esprimere, muove il tronco, la testa, si guarda attorno, apre la bocca, si
pianta dritto sui piedi, si irrigidisce, tira su il collo, spalanca i suoi
occhi, guarda lontano, alle file più buie della platea che ha di fronte, a
tutti coloro che lo stanno seguendo, che non perdono neppure un piccolo gesto;
e infine: resta semplicemente in silenzio. Si chiude il sipario.
Bruno
Magnolfi
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