giovedì 20 gennaio 2011

(Profilo n. 1). Avversi al pensiero unico.


            

            Stamani il negozio di generi alimentari appare chiuso. Nessun cartello sulla serranda abbassata segnala questa anomalia, e lungo la strada e sui marciapiedi non c’è quasi nessuno, neppure il solito gruppo di anziani seduti sulle panchine in fondo alla via. Un ragazzo, che avrà circa vent’anni, passa da solo sopra la sua bicicletta, pedala lentamente, come cercando qualcosa, osservando sui muri i numeri civici di queste case di tre o quattro piani, infine si ferma davanti a un portone, estrae un grosso pezzo di gesso colorato e scrive sulla parete lì accanto: VATTENE ! Poi risale sopra al sellino con calma e sparisce alla vista.
            Tutti coloro che abitano in questa strada sanno perfettamente cosa significhi quel senso angoscioso che opprime le persone. Una donna esce di casa con il suo cagnolino, si guarda attorno, arriva fino al giardinetto vicino, si trattiene pochi minuti, infine rientra. Io continuo ad osservare tutto dalla mia finestra, nascosto dietro la tenda: so perfettamente che verranno a cercarmi, prima o poi, che busseranno al portone, entreranno, in qualche maniera, e mi obbligheranno a seguirli. Non ho paura, il loro comportamento mi appare ridicolo, e in fondo non avrei mai immaginato di attirare tanto interesse.
            Decido di uscire tanto per movimentare le cose, in fondo, anche se la giornata appare grigia, una passeggiata si può sempre affrontare, penso tra me. Indosso un vecchio cappotto e un cappello che non ho più messo da anni, poi, con passo solerte, arrivo sul marciapiede e decido di recarmi verso il centro della città. Qualcuno mi ha visto, ne sono sicuro, una persona socchiude un portone per osservarmi dall’andito buio, io mi soffermo, sorrido, sollevo il cappello per fargli un saluto, proseguo nel mio camminare spedito.
            Percorro alcune vie senza quasi incontrare nessuno, infine vedo un bar dove non sono mai stato, così entro dentro e mi siedo. Il cameriere mi porta un caffè, c’è un giornale sul tavolino vicino, così lo prendo e lo sfoglio. Pare non ci sia niente di nuovo, tutto sembra tranquillo, ordinario, eppure qualcosa si muove nell’ombra, sono sicuro che prima di sera qualcosa dovrà senz’altro accadere. Dal telefono pubblico del bar chiamo un amico, gli chiedo di raggiungermi, gli spiego che qualcuno mi sta minacciando.
            Lo attendo per poco più di un’ora, poi mi convinco che non verrà, e se cerco di telefonargli di nuovo sono sicuro che avrà già trovato una scusa. Mi rimetto in cammino, percorro alcuni marciapiedi e infine mi ritrovo ad imboccare la strada in cui abito. Davanti al portone di casa mia c’è un capannello di gente, mi accosto, tutti all’improvviso fanno silenzio e mi osservano. Un vicino che conosco di vista mi dice: non si preoccupi, noi siamo con lei; questi facinorosi seguaci del pensiero unico devono finirla di seminare il terrore. Dobbiamo farci vedere compatti, convinti di quello che siamo, sono sicuro che è questa l’unica maniera per combattere la nostra battaglia: da ora in avanti tutti dovranno saperlo, non ci abbasseremo mai a vivere in silenzio lasciandoli padroni del campo; ci sono tante realtà a questo mondo, la nostra sicuramente ha il valore di tutte le altre.

            Bruno Magnolfi    

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