Giro
per strada immaginando che da un attimo all’altro qualcuno si metta a gridare e
a inveire contro di me. Però, osservo con attenzione tutto il marciapiede, e sinceramente
mi pare che nessuno tra quelli che camminano di fronte ai miei passi, abbia questa
intenzione, almeno per il momento. Sospetto comunque, peraltro senza esserne del
tutto convinto, che qualcuno possa improvvisamente sentirsi esattamente colui
che ha dei motivi fondati per dirmi qualcosa: rimproverarmi per quello che ho
fatto, o soltanto pensato di fare, magari ieri o dieci anni fa; trovare
assolutamente non adatto il mio semplice essere qui, in questo luogo; che possa
lamentarsi, in modo vistoso ed energico, della mia faccia, delle mie
espressioni, del mio comportamento. Non credo che esista un vero e proprio
complotto ai miei danni, ma il mio spirito resta in fondata apprensione, gli
elementi negativi sembrano quasi aleggiare nell’aria che ho intorno.
Sono
sicuro di non aver fatto niente di male, lo penso con convinzione, e continuo a
ripetermi questa frase nella mia testa, mentre, sempre più preoccupato,
proseguo a percorrere questa strada così ostile, piena di gente che forse vuole
soltanto liberarsi di me, persino del mio semplice fatto di esistere. Però sono
altrettanto certo che è solo un improvviso colpo di testa quello da cui eventualmente
devo difendermi, e la cosa maggiormente antipatica, è che non so da chi possa
giungere il gesto ostile, non posso sapere in anticipo da chi e da cosa mi debba
proteggere. Non provo paura, sono disposto a lottare per conservare il mio
stato: cammino, le mani dentro le tasche, su questa strada che ha larghi
marciapiedi, e penso ci sia posto per tutti, secondo me non ha alcuna
importanza se nessuno di coloro che la percorrono riconosce le mie peculiarità,
le mie caratteristiche specifiche. Almeno mi basta continuare in questo modo,
senza che venga ostacolato il mio passo, senza che mi senta assediato per la
mia maniera di camminare, per la sola presenza di me che cerca di conservare il
suo percorso sul lato di questa strada.
Infine
qualcuno mi chiama da dietro, mi volto lentamente, con preoccupazione, già
prevenuto contro quello che avverto quasi come un naturale pericolo. Salve, mi
dicono due addetti alla strada sicura; lei non è ben accetto in questo
quartiere, deve spostarsi, andarsene da tutt’altra parte, la sua passeggiata
rischia di essere una seria provocazione. Rimango per un attimo immobile, poi
abbasso lo sguardo, faccio cenno di si con la testa, riconosco la loro
autorità, le loro ragioni, quello che mi hanno comunicato. Però non so proprio
cosa pensare, non mi aspettavo assolutamente una cosa del genere: avevo ragione
intorno a ciò che avevo sospettato fino adesso, però avevo sbagliato la
deduzione fondamentale: sono io il vero pericolo per gli altri, sono io quello
non adatto a starsene qui, nessuno vuole minacciarmi o farmi del male, è sufficiente
però che io sparisca, mi tolga dai piedi di questa gente che troneggia sul
marciapiede.
Gli
addetti alla strada sicura proseguono a guardarmi per sincerarsi che io abbia
capito, poi mi mettono una mano ciascuno su un braccio, e fanno cenno che
saranno loro ad accompagnarmi. Mi lascio guidare, ormai non ho alcuna
possibilità di far altro: proseguo nel tenere la testa chinata a evitare guai anche
peggiori, e a guardare soltanto a dove metto i miei piedi. Mi fanno
attraversare la strada, dicono qualcosa tra loro; infine, sottovoce, cerco di
chiedere loro che cosa ho che non va, perché debbo andarmene, cosa fa di me una
persona diversa dagli altri. Nessuna risposta, i due addetti guardano avanti e
restano adesso perfettamente in silenzio: compiono semplicemente il loro
dovere, penso, sto facendo delle domande alle persone sbagliate. Poi usciamo
dai confini di zona, loro lasciano completamente la presa, per un attimo mi
sento libero, poi mi volto, guardo la strada su cui siamo giunti, e mi accorgo
che altre persone mi stanno osservando con severità: non finirà mai, penso,
tanto vale adattarsi ad essere come son tutti.
Bruno
Magnolfi
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