Certe volte in paese
qualcuno diceva che il figlio di Elvio stesse facendo una grande carriera nella
metropoli del nord dove si era trasferito, ma da lui non arrivava mai una sola
parola che avvalorasse quella voce, come se neppure ne fosse orgoglioso. Naturalmente
nessuno osava mai chiedergli niente a questo proposito. Un saluto a tutti,
diceva a voce bassa ma corposa, quando entrava nella sala del Caffè Centrale,
ma erano quelle quasi le sole parole che da quell’uomo con le rughe sul viso e
la barba bianca e curata, si potevano ascoltare là dentro. (...)
Questo racconto non è più fruibile su questo blog in quanto sotto contratto con Lillibook Edizioni
Bruno Magnolfi
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