sabato 10 maggio 2014

Indifferenza.

          

Ad un tratto ho detto qualcosa, in buona sostanza mi sono lasciato andare semplicemente ad un urlo, uno qualsiasi, quasi un brutto verso, forse una parola abbozzata, non so neppure io, ma cosi storpiata da apparire del tutto incomprensibile, tanto da non immaginarmi neanche che cosa fosse, cosa potesse rappresentare, anche se detta senz’altro a voce molto alta, con effettiva convinzione, all'improvviso, e tutto evidentemente soltanto per attrarre su di me l'attenzione di quanti si trovavano in quella grande sala d'attesa con la parete principale quasi interamente vetrata e quindi perfetttamente trasparente. Qualcuno in effetti si è subito girato verso la mia direzione, ma il resto dei presenti non ha dato grandi note di sé, ed è restato fermo, inerte, praticamente indifferente a tutto quanto accadeva.
Ho riso, dopo pochi secondi, una gran bella risata a bocca aperta, forse addirittura agghiacciante per alcuni, ma per me assolutamente liberatoria, piazzata com’era all’interno di una dimostrata indifferenza di ognuno verso tutti. Ho pensato ancora qualcosa che forse non aveva neppure senso, giusto per riflettere a mente aperta, senza preoccupazioni, poi restando seduto mi sono girato da una parte, rannicchiandomi quasi sopra un bracciolo della mia seggiolina, ed ho anche chiuso gli occhi, come se niente fosse stato possibile là dentro se non sonnecchiare e basta.
Mi sono subito reso conto che tra tutti c’era chi si guardava attorno, e c’erano anche altri che invece continuavano imperterriti a leggere qualcosa, ognuno per suo conto, proseguendo semplicemente a fare le loro cose, sopportando inevitabilmente un matto, che come accade a volte, stava tentando di offuscare semplicemente la loro conquista di quel piccolo spazio di ordinaria normalità. Perciò mi sono alzato ad un certo punto, e dando le spalle alla vetrata, ma conservando gli occhi puntati su di loro, ho detto con voce forte e decisa che era giunto davvero il momento di finirla. Qualcuno ha sviluppato intorno al proprio posto a sedere una lieve e breve risata, quasi un commento, sul filo probabilmente del pensiero collettivo precedente; molti altri però hanno sollevato il loro sguardo per un attimo puntando gli occhi proprio su di me.
Che cosa potevo ancora dire, mi sono chiesto ad un certo punto: rompere il senso di attesa di un gruppo di persone ordinarie come quelle presenti, mi pareva un elemento già troppo pesante anche per uno come me; farlo presente a tutti era stato il minimo, certo, ma per ciò che riguardava tutto il resto, potevano benissimo immaginarselo anche da soli, non importava affatto che io in quel momento insistessi. Ma quel proseguo di disattenzione ironica, di indifferenza crudele e quasi disumana, di inadempienza rispetto ad una naturale e sana curiosità, mi è parso in quel momento decisamente eccessivo, così ho pensato attentamente a cosa potevo ancora fare là dentro.
Ho cominciato a nuovermi con irrequietezza da una parte all'altra della sala, e qualcuno ha pensato bene di seguire con lo sguardo i miei movimenti, senza però darlo troppo a vedere, forse per evitare se non altro nuovi problemi. Nella mia specie di danza che portavo avanti da un lato all’altro, riuscivo comunque con ogni movenza a catturare l'attenzione di altri, e mi mostravo capace di distogliere molti da quel loro insano rinchiudersi dentro ai propri pensieri, anche se tutto questo non mi sembrava ancora per nulla sufficiente.
Cosi mi sono fermato, ho afferrato una sedia libera ridendo sguaiatamente, l'ho sollevata in aria, sopra la testa, e prendendo una certa rincorsa l'ho scagliata con tutte le forze che avevo contro quella vetrata che come un occhio inamovibile e inerte pareva continuare a fissarmi. I vetri sono subito crollati a terra, tutti si sono alzati nel grande frastuono che ne è seguito, alcuni hanno urlato e ne è nata una confusione incredibile. Io sono uscito con calma da quel caos generato là dentro: forse non è il luogo giusto dove fare certi esperimenti, ho pensato.


Bruno Magnolfi

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