E’ già da un po’ di tempo che chiedo, a dire la
verità in maniera poco insistente per via della timidezza mai superata, sia al
mio medico, così come ai dipendenti delle farmacie davanti alle quali mi trovo
a passare, di prescrivermi, sempre che esista, una pillola in grado di calmare,
se non di azzerare del tutto, almeno per un giorno, o anche semplicemente per
qualche ora, questi miei soliti dolori. Non so di che cosa io abbia
effettivamente bisogno, e comunque se anche lo sapessi non saprei neppure
spiegarlo, però questa mia sottile sofferenza diffusa sta diventando nel suo
insieme una malattia vera e propria, anche se a volte stento io stessa a
reputarla tale.
Mi sdraio, quasi sempre, come spossata, appena
torno a casa dopo l’orario d’ufficio, e nella solitudine del mio piccolo
appartamento resto lì, a pensare al dolore ad un polso, o alle reni, oppure
alla cervicale. Non sono sofferenze che durano a lungo, però si sovrappongono,
ed anche se la mia stanchezza non mi permette di far altro che starmene da sola
in silenzio, nelle penombra di una stanza, sdraiata sopra al divano, non riesco
mai a riposare come e quanto vorrei, grazie proprio a queste piccole sofferenze
che mi tengono sveglia, presente, incapace di pensare ad altro che non siano le
mie ossa, i miei muscoli, i nervi, insomma ogni particolare di tutto il mio
organismo.
Qualche collega dice che dovrei fare della
ginnastica, sciogliermi; il mio medico invece sostiene che avrei soltanto
bisogno di un ricostituente; ma io so che non è affatto così, e che il mio
desiderio più profondo è soltanto quello di dimenticarmi di tutto, di non
provare più niente, di lasciare il mio corpo in balia dei suoi acciacchi,
mentre la mente si prende almeno una pausa. Lo so che forse il mio caso è più
comune di quello che potrei immaginare, però questa modalità quotidiana di
affrontare le cose, mi porta sempre più ad isolarmi, a lasciarmi preda di
semplici e costanti pensieri e riflessioni solo su di me, come esistessi io e
basta, protesa nell'analisi dei miei piccoli guai e dei sottili dolori che mi
tormentano.
Non vorrei mostrarmi agli altri in questa maniera,
mi piacerebbe al contrario essere solare, aperta, protesa verso tutti, e certe
volte mi sforzo addirittura di cambiare, ma sono tali le preoccupazioni per il
mio stato fisico che torno immediatamente a ricadere preda dei miei piccoli
guai. A volte mi vedo con una mia amica, di fatto una semplice collega di
lavoro quasi della mia stessa età, e così posso sfogare con lei almeno in parte
le mie preoccupazioni. Tu cosa faresti, le chiedo, e lei che è molto energica
dice che impugnerebbe con forza la faccenda, innanzitutto sottoponendosi a
tutte le analisi del caso, poi prendendosi una lunga vacanza lontano da tutto.
Io la lascio dire, non posso spiegarle che ho anche delle altre forti paure,
per esempio di scoprire su di me una malattia di quelle incurabili, o di venire
a conoscenza di qualcosa che mi lasci dipendente dai farmaci per tutto il resto
della mia vita. E per quanto riguarda le vacanze poi, l'unico momento in cui
riesco a dimenticarmi di molti dei miei guai, è proprio quando sono impegnata
nel mio lavoro, quindi non vedo come potrei desiderare di allontanarmi dall'
ufficio dove alla fine sto meglio che in qualsiasi altro luogo.
Così lascio che le abitudini assodate prendano il
sopravvento: lo so che molte delle cose negative dipendono spesso da me, ne ho
piena coscienza. Difatti in tutto questo non ho neppure qualcosa o qualcuno
contro cui prendermela. Però è una stasi la mia, lo so, mi è chiarissimo. Andrò
avanti così, penso alla fine, non posso far altro.
Bruno Magnolfi
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