Oggi non è aria, fa il mio amico sottovoce appena entro nel bar. L'altro
dice subito a voce alta che è molto meglio se ci leviamo dai piedi tutt'e due,
altrimenti potrebbe anche succedere qualcosa di poco bello. Nel locale ci sono
soltanto due o tre tizi in un angolo che si fanno i fatti loro. Io resto in
piedi vicino alla porta, abbondantemente incerto sul da fare, il mio amico
invece si gira, si avvicina al banco con aria strafottente e chiede al barista
una birra media, mentre l'altro prosegue da solo con concentrazione a fare dei
tiri sapienti sul biliardo.
Alla fine mi avvicino al banco, il mio amico mi guarda per un attimo, io lo
imploro con gli occhi di ordinare da bere anche per me, ma tutto resta fermo, e
lui adesso sembra interessarsi soltanto delle etichette di liquore davanti alla
sua faccia. L’altro alza la stecca, appoggia a terra il calcio e muove giusto
un passo nella nostra direzione, guardandoci con sfida.
Calma, dice il barista, intuendo qualcosa che forse a noi era sfuggito.
Comprendo che ci deve essere appena stata una bella discussione tra il mio
amico e l’altro, ma non riesco ad afferrare quale sia potuto essere il motivo.
Dico a voce alta che forse mi va di fare un paio di tiri sopra a quel biliardo,
tanto per smuovere un po’ le acque, ma a dire la verità nessuno mi dà retta,
così a me non resta da far altro che avvicinarmi al tavolo staccando una stecca
dalla rastrelliera, ed iniziare con lentezza a dare il gesso sulla punta.
Credo che tu non abbia capito, mi fa l’altro. Il mio amico intanto si volta
per guardarci, io mi sento forte della sua assistenza, così stendo la mia
stecca e tiro un rimpallo senza storia. Poi rimetto a posto tutto quanto, come
se avessi fatto la mossa più importante della vita, e vado a buttarmi seduto su
una seggiola di plastica lì accanto.
Il mio amico mi fa segno con la testa che adesso dobbiamo proprio andarcene,
ma io mi sento bene, non vedo quale possa essere il problema, così resto
seduto, guardo avanti a me le buche e il panno verde, come seguissi una partita
immaginaria. L’altro ride: vuoi giocare, fa senza guardarmi. Io lo ignoro, e mi
pare sia arrivato già il momento giusto, così mi alzo lentamente forzando sui
braccioli, e senza tornare a riguardarlo vado verso l’uscita del locale. Mi
accosto al mio amico proprio quando l’altro si fa avanti verso di noi con la
sua stecca nella mano: ehi, mi fa, ho parlato con te. Lascialo stare, dice il
mio amico con un tono che pare riferirsi anche a chiunque altro nei dintorni.
L’altro gli appoggia una mano sulla spalla e poi lo spinge fuori, ma il mio
amico dapprima fa un po’ di resistenza, poi si volta di scatto e gli dà uno
schiaffo sulla faccia.
L’altro reagisce e gli affibbia un pugno debole sulla stessa spalla,
facendo cadere la sua stecca senza neanche preoccuparsene. Io fo quasi uno
scarto, raccolgo la sua stecca, la prendo per la parte della punta e lo
minaccio, ma senza dire niente. Stai scherzando, mi fa l’altro; avanti, da
bravo, restituiscila, dice, e intanto allunga il braccio. Lo colpisco
inaspettatamente sulla mano con una botta secca, e quello cade subito a terra
dal dolore: probabilmente gli ho fratturato il polso, penso, poi getto il legno
da una parte, quasi con disgusto.
Non voglio casini qua dentro, fa il barista a voce alta uscendo dietro al
banco. Filate via voi due, e dimenticatevi di tornare qui. L’altro si rialza
reggendosi la mano in una smorfia di dolore, e mi assesta una pedata in una
coscia, mentre il barista cerca come può di trattenerlo; io e il mio amico
usciamo in fretta da là dentro, senza stare neanche a chiederci null’altro.
Abbiamo fatto bene, fa il mio amico mentre saliamo in macchina: quando c’è
lui questo bar sembra tutto suo, forse non si è neppure reso conto che noi
quando vogliamo siamo una forza.
Bruno Magnolfi
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