In
quel quartiere, oltre la piazza con gli alberi e le panchine tra le aiuole, non
c'è proprio nient’altro, se non quelle file di case intorno, a due o tre piani,
quasi tutte simili, in certi casi con un minuto giardinetto sul davanti.
Luciana va a sedersi quasi ogni giorno sopra una di quelle panchine; si porta
il libro, legge qualche pagina, si guarda attorno certe volte, e se trova
qualcuno che conosce scambia volentieri anche due chiacchiere.
Ha
abitato da sempre in quella zona, ed ha visto tanta gente arrivare fino lì, ed
anche andarsene; e pure botteghe e negozietti che sono stati aperti e che ora
non ci sono più. Ma lei rimane seduta, con le sue maniere, le sue abitudini; e
certe volte si chiede cosa mai farebbe se non ci fossero quelle case, quegli
alberi, le aiuole e le panchine, tutto quel semplice arredamento di quartiere,
quegli oggetti quasi suoi, e anche di tutti, naturalmente, ma che lei conosce
così bene.
Avrebbe
tanto voluto che le autorità avessero sistemato un monumento in quella piazza,
qualcosa proprio al centro, tra quei pochi alberi, e che abbellisse tutto
quanto dandogli importanza. Ne aveva anche parlato con qualcuno, Luciana, con quegli
anziani che frequentano le panchine insieme a lei quando il tempo è bello, e
parlandone si era convinta che le sarebbe tanto piaciuto un grande oggetto che
raffigurasse la perseveranza, come se la resistenza alla modernizzazione e ai
cambiamenti di tutto quel quartiere, fosse un elemento da riconoscere, e forse
da simboleggiare. Si, si, avevano detto tutti, e lei si era sentita sempre più
convinta di quella scelta, tanto quasi da aspettare che da un giorno all'altro
iniziassero i lavori.
Invece
non è mai successo niente in quegli anni, e tutto alla fine è rimasto
esattamente nella medesima maniera. Ma Luciana ha iniziato a pensare un po’ per
volta che quella mancanza di cambiamenti fosse essa stessa un monumento: non
c’è bisogno di far risaltare quanto rimane costantemente uguale in questa zona,
ha detto già a qualcuno dei suoi conoscenti. Queste aiuole, questi alberi che
invecchiano, sono loro un vero monumento; le case, i marciapiedi, la forma
della piazza, tutto quanto ciò che prosegue a conservare l’identità del luogo,
proprio il suo spirito.
Qualcuno
le ha anche dato ragione, tanto per farla più contenta, ma altri hanno alzato
le spalle, e in due o tre le hanno voluto spiegare che quel quartiere non aveva
proprio niente per cui essere invidiato. Luciana se n’è risentita, perché a lei
pare quasi impossibile che si possa pensare cose di quel genere. Così è tornata
a casa, si è chiusa dentro, e provando una malcelata stizza, ha deciso di non
frequentare almeno per qualche giorno quelle panchine della piazza.
Poi
non ha più resistito, e c’è tornata, però muovendo i piedi con lentezza, quasi un
po’ svogliatamente. Già da lontano si è accorta che qualcosa era diverso, ma
neanche a quel punto si è affrettata. Ha atteso, conservando lo sguardo sul
verde delle aiuole, di vedere bene coi suoi occhi quanto era accaduto. Un
albero, di quelli più grossi, forse malato e pericolante, in quei pochi giorni era
stato abbattuto e rimosso dai giardinieri, fino a lasciare al suo posto un
vuoto che improvvisamente a lei è parso quasi terribile. Luciana allora si è
seduta sopra la sua solita panchina, è rimasta immobile e pensierosa per
qualche minuto, ma poi ha estratto dalla borsa il suo libro, lo ha aperto, ed
ha iniziato a leggere. Succede, ha detto più tardi ad un conoscente che
passando davanti le ha fatto notare quanto era capitato.
Bruno
Magnolfi