Lo so che la mia immobilità è senz'altro un problema, un nodo sicuramente
da sciogliere, prima o poi. Ogni pomeriggio mi siedo sulla panchina a bordo
strada e resto lì, almeno fino a quando posso. Qualche vicino di casa che
conosco mi saluta, altri invece non mi guardano neppure. Gli estranei poi non
fanno caso a niente, transitano da quella strada come da qualsiasi altra parte,
magari mi guardano, quasi senz'altro pensano di me che io sia uno svitato, uno
senza cervello, ma la loro riflessione in sostanza dura appena un attimo,
praticamente lo stesso tempo esatto della loro occhiata, quindi riprendono come
prima facevano ad ignorarmi. Certe volte sorrido mentre passano, oppure cerco
di parlare con un personaggio che immagino stia proprio seduto anche lui sulla
mia panchina, accanto a me. Gesticolo, gli altri mi guardano, forse hanno pena
del mio stato, però mai nessuno di loro mi chiede niente.
Un giorno arriva questa signora, fine, ben vestita, seria direi; dice
buongiorno sottovoce e poi si siede. Non è assolutamente una persona con la
quale potrei avere qualcosa a che fare, penso, perciò evito di guardarla e
anche di risponderle. Lei sicuramente vuole parlarmi ancora dopo il suo saluto,
sfoglia una rivista con indifferenza, senz’altro non mi perde d'occhio un
attimo anche se cerca di non essere invasiva. Probabilmente fa parte di una di
queste associazioni tutte protese verso la gente con qualche problema, penso, e
già soltanto questo mi fa praticamente inorridire. Viene spesso da queste
parti, mi chiede improvvisamente in modo gentile e pacato, senza guardarmi. Le
rispondo appena con un semplice grugnito. Ho capito tutto di te, vorrei subito
dirle. Lasciami perdere, non sono il tipo adatto ad entrare tra le tue indagini
cittadine, tra le tue stupide statistiche. Lei insiste, dice che conosce un
posto lì vicino dove si incontrano tra loro delle persone come me che trovano
un grande giovamento dalla frequentazione di quel luogo.
Lascio in aria una buona pausa, infine mi volto verso di lei e la guardo
dritto. Non ho grossi problemi, vorrei dirle. So tranquillamente starmene da
solo, in genere mi piacciono le cose semplici che non prevedono inserimenti di
estranei o anche socializzazioni da dover praticare quasi per forza. Ma invece
le dico: va bene, e poi basta; riprendo la mia posizione di prima e aspetto. Di
seguito invece mi giro. Lei tira fuori un taccuino usando modi da gran
professionista, chiede il mio nome, vuole inserirmi nell’elenco di tutti gli
altri, mi dice; vuole semplicemente aiutarmi, venirmi incontro, facilitarmi le
cose, rendere gradevole e semplice tutto quanto.
Mi alzo; va bene, dico ancora all’aria, come confermando ciò che ho detto
prima. La signora mi guarda, perplessa: io me ne vado senza dire altro. Allora
si alza anche lei, mi segue per qualche passo, chiede, per ultimo tentativo, se
vengo spesso a questa panchina. Certo, le dico girandomi tutto verso di lei.
Questa è la mia panchina, faccio; lei è stata mia ospite fino adesso, non se ne
è ancora resa conto? Mi scusi, dice lei, non lo immaginavo. Dicono tutti così,
le spiego ancora mentre riprendo la mia camminata, vengono fino qui a
scocciarmi senza sapere che questo è il mio posto, e che non sempre qui nei
dintorni sono dei veri e propri benvenuti. Va bene, fa lei, però adesso
potrebbe venire assieme a me, così magari l'accompagno fino al centro del quale
le parlavo prima. Va bene, fo ancora io senza battere ciglio. Con la mano lei
mi stringe il braccio, così mi fermo, e senza dire niente vorrebbe forse indicare
la direzione verso cui avviarsi. La guardo: vada via, le dico con un sorriso un
po’ sarcastico. Non ha più niente da fare con me.
Bruno Magnolfi
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