domenica 2 novembre 2014

Niente da fare.



Lo so che la mia immobilità è senz'altro un problema, un nodo sicuramente da sciogliere, prima o poi. Ogni pomeriggio mi siedo sulla panchina a bordo strada e resto lì, almeno fino a quando posso. Qualche vicino di casa che conosco mi saluta, altri invece non mi guardano neppure. Gli estranei poi non fanno caso a niente, transitano da quella strada come da qualsiasi altra parte, magari mi guardano, quasi senz'altro pensano di me che io sia uno svitato, uno senza cervello, ma la loro riflessione in sostanza dura appena un attimo, praticamente lo stesso tempo esatto della loro occhiata, quindi riprendono come prima facevano ad ignorarmi. Certe volte sorrido mentre passano, oppure cerco di parlare con un personaggio che immagino stia proprio seduto anche lui sulla mia panchina, accanto a me. Gesticolo, gli altri mi guardano, forse hanno pena del mio stato, però mai nessuno di loro mi chiede niente.
Un giorno arriva questa signora, fine, ben vestita, seria direi; dice buongiorno sottovoce e poi si siede. Non è assolutamente una persona con la quale potrei avere qualcosa a che fare, penso, perciò evito di guardarla e anche di risponderle. Lei sicuramente vuole parlarmi ancora dopo il suo saluto, sfoglia una rivista con indifferenza, senz’altro non mi perde d'occhio un attimo anche se cerca di non essere invasiva. Probabilmente fa parte di una di queste associazioni tutte protese verso la gente con qualche problema, penso, e già soltanto questo mi fa praticamente inorridire. Viene spesso da queste parti, mi chiede improvvisamente in modo gentile e pacato, senza guardarmi. Le rispondo appena con un semplice grugnito. Ho capito tutto di te, vorrei subito dirle. Lasciami perdere, non sono il tipo adatto ad entrare tra le tue indagini cittadine, tra le tue stupide statistiche. Lei insiste, dice che conosce un posto lì vicino dove si incontrano tra loro delle persone come me che trovano un grande giovamento dalla frequentazione di quel luogo.
Lascio in aria una buona pausa, infine mi volto verso di lei e la guardo dritto. Non ho grossi problemi, vorrei dirle. So tranquillamente starmene da solo, in genere mi piacciono le cose semplici che non prevedono inserimenti di estranei o anche socializzazioni da dover praticare quasi per forza. Ma invece le dico: va bene, e poi basta; riprendo la mia posizione di prima e aspetto. Di seguito invece mi giro. Lei tira fuori un taccuino usando modi da gran professionista, chiede il mio nome, vuole inserirmi nell’elenco di tutti gli altri, mi dice; vuole semplicemente aiutarmi, venirmi incontro, facilitarmi le cose, rendere gradevole e semplice tutto quanto.
Mi alzo; va bene, dico ancora all’aria, come confermando ciò che ho detto prima. La signora mi guarda, perplessa: io me ne vado senza dire altro. Allora si alza anche lei, mi segue per qualche passo, chiede, per ultimo tentativo, se vengo spesso a questa panchina. Certo, le dico girandomi tutto verso di lei. Questa è la mia panchina, faccio; lei è stata mia ospite fino adesso, non se ne è ancora resa conto? Mi scusi, dice lei, non lo immaginavo. Dicono tutti così, le spiego ancora mentre riprendo la mia camminata, vengono fino qui a scocciarmi senza sapere che questo è il mio posto, e che non sempre qui nei dintorni sono dei veri e propri benvenuti. Va bene, fa lei, però adesso potrebbe venire assieme a me, così magari l'accompagno fino al centro del quale le parlavo prima. Va bene, fo ancora io senza battere ciglio. Con la mano lei mi stringe il braccio, così mi fermo, e senza dire niente vorrebbe forse indicare la direzione verso cui avviarsi. La guardo: vada via, le dico con un sorriso un po’ sarcastico. Non ha più niente da fare con me.

Bruno Magnolfi


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