Spesso mi trovo arreso, quasi messo in condizioni di non nuocere. Mi guardo
ancora attorno almeno un’altra volta prima di rientrare in casa ed andarmene
definitivamente a letto, proprio perché ancora spero di veder giungere qualcuno
che pur all'ultimo momento riesca ad arrivare finalmente per gridare che sono
salvo, che la mia grazia è firmata, e che infine è stata riconosciuta
ufficialmente e da tutti la mia innocenza. Sorrido delle mie illusioni, mi
spoglio, mi corico, stringo le braccia nel tentativo di sentirmi meno solo, e
attendo il sonno di ogni notte come fosse il solo stato fisico capace di farmi
scordare almeno per qualche ora la realtà.
Giro nervosamente per casa, durante il giorno; poi qualcuno suona il
campanello. Apro la porta: davanti a me c’è una persona che non ho mai visto,
balbetta qualche cosa in merito agli sviluppi energetici, all’evoluzione tecnologica,
al tenersi correntemente aggiornati come un dovere di tutti, e non solo per se
stessi, dice, ma in funzione semplicemente della collettività. Annuisco, lo
faccio entrare. Lui è subito perplesso, forse gli capita di rado che qualcuno
gli dica di accomodarsi, che gli offra una sedia, un bicchiere d’acqua,
l’ascolto e l’attenzione che probabilmente merita.
Lui parla, io resto in silenzio mentre lo guardo. Infine mi alzo dalla
sedia, cerco di spiegargli sinteticamente come si stia ritrovando davanti a sé
una vera e propria preda del sistema che tende a neutralizzare qualsiasi
pensiero divergente. Lui medita, sembra comprendere qualcosa, fino a mostrare
di sentirsi sempre meno a proprio agio. Mi interrompe a un certo punto, dice
qualcosa attorno a degli obblighi che sostiene di avere con una compagnia, ma
io gli dico a mia volta che non ha alcuna importanza tutto questo, e che lui
può divenire fin da subito il formidabile anfitrione della mia causa, quella
che assurdamente mi vede colpevole senza quasi alcuna possibilità di appello.
L’uomo va verso la porta, io non lo trattengo, in fondo abbiamo cercato di
spiegarci vicendevolmente le nostre ragioni, penso, e che poi ognuno di noi non
sia riuscito a convincere l’altro, in fondo è soltanto un dettaglio
superficiale, una possibilità anche largamente già prevista. Se ne va con modi
sgarbati, ma mentre è ormai lungo le scale dice a voce alta senza guardarmi che
forse ciò che mi sta capitando me lo sono addirittura meritato, e questo
evidentemente appare subito l’elemento più importante tra tutti gli altri.
Mi metto seduto, una volta solo, e cerco di riflettere a quanto è stato
detto. Forse ha ragione, penso, forse davvero ho colpa di qualcosa in tutta la
faccenda, anche se non mi sono mai accorto di niente. Perché mai proprio io,
penso mentre sento già montarmi la febbre. Forse dovrei ribellarmi a questo
stato di cose, che so, magari fuggire, allontanarmi per sempre da questa
situazione.
Tornano a suonare il campanello: sono le guardie, immagino, adesso non c'è più
altro tempo, comprendo al volo, ed il giudizio finale ormai è stato dato, le
mie ragioni sono state del tutto calpestate, ed è sicuro che a rimetterci per
tutti sarò soltanto io. Invece è la mia vicina, una signora che abita al mio
stesso pianerottolo, dice che ha sentito urlare per le scale, ed adesso vuole
soltanto sapere se ci sono per caso dei problemi. Tutto a posto, la rassicuro
subito, la realtà è composta solamente di tante piccole sciocchezze alle quali
spesso diamo semplicemente uno smisurato credito, le dico. Adesso forse tutto
appare contro di me, le spiego ancora; ma probabilmente è appena sufficiente
lasciar trascorrere un tempo adeguato, e tutto all' improvviso si sistemerà,
proprio come se qualunque mio delitto vero o presunto non si fosse mai
verificato. Perché in fondo, le dico con serietà e guardandola negli occhi: io
non ho fatto proprio niente.
Bruno Magnolfi
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