Mario
è un uomo. Se gli guardi le mani ti accorgi che non le tiene quasi mai a
riposo, e che il suo sguardo è vigile, sempre sulla difensiva, pronto a
schivare eventuali attacchi della quotidianità. Puoi anche seguirlo nei suoi
innumerevoli giri che compie mentre affronta tante strade diverse, anche se
alla fine frequenta sempre i medesimi luoghi, ed accorgerti poco per volta che
la sua evidente insicurezza sembra contrarsi o distendersi proprio a seconda
dei mutamenti che sopraggiungono nei suoi itinerari.
Qualche
volta entra dentro un noto caffè, Mario, un affollato locale del centro: là
dentro si fa accompagnare sempre da una certa signora; normalmente loro due si
siedono, si lasciano servire del tè oppure degli aperitivi, e parlano in genere
delle proprie difficoltà, e di quello che forse per ognuno di loro sarebbe più giusto
da fare, anche se poi generalmente mai niente cambia nei comportamenti che hanno
adottato in funzione
di tutto il resto che li circonda. Quando escono da quel luogo comunque, appaiono
sempre abbastanza soddisfatti, anche se è evidente come non siano riusciti una
volta di più a prendere alcuna decisione importante.
Mentre
passeggiano in attesa dell’ora di rientrare, lei certe volte gli dice: Mario, dobbiamo
essere maggiormente realisti, comprendere che le cose sono in una certa
maniera, e con tutto l’impegno che possiamo impiegarci, non riusciremo certo
noi a farle cambiare. Lui scuote la testa, non la guarda neppure, dice soltanto
che non è proprio certo con questo spirito che si possono affrontare le
avversità. Poi però riconosce che lei forse ha ragione, e che probabilmente è
giusto essere più concreti e guardare tutto con maggiore obiettivo distacco.
A
lui piace spingersi a volte fino alla sponda sinistra del fiume, restare
appoggiato alla spalletta lungo la strada per osservare l’acqua che scorre
sotto il suo ponte preferito, illuminato alla sera da luci calde e giallastre
sul fiume grigio e scuro come l’inchiostro, per poi ritornarsene sui suoi passi
rinfrancato da quelle immagini così rassicuranti e complete. A Mario piace la
solitudine, sostanzialmente, anche se in certi casi si ferma a parlare con
qualcuno che passeggia proprio come lui, senza avere mai una meta precisa.
Non
tutto è perduto, dice Mario allora con un sorriso: possiamo ancora impegnarci e
tenere in pugno le cose; l’altro non gli risponde, non c’è alcuna necessità di
parole a fronte di quei pensieri che vagano dentro la testa. E’ sufficiente
lasciarsi un saluto, un gesto qualsiasi che definisca una stessa veduta, forse
addirittura una momentanea complicità, quasi una stessa maniera di immaginare
come saranno le cose domani, sempre che avvenga un cambiamento apprezzabile.
Rientrare
è sempre un dolore: qualcosa si è concluso ormai anche stasera, pensa Mario; però
ho molte speranze per la giornata di domani, riflette; qualcosa dovrà pur
accadere, e certamente saprò tener testa a quanto si presenterà come nuovo,
insieme a tutto ciò che avrà il noto sapore di vecchio. Non ci sarà nemmeno troppo
da preoccuparsi, dice tra sé: tutto quanto potrà mai avvenire, sarà sempre
qualcosa che avevo già immaginato, qualcosa di cui ero quasi in attesa, proprio
come se ogni possibile variazione possa soltanto restare all’interno di un
quadro finito, completo di ogni particolare, appeso al muro, incorniciato da
tutte le nostre insignificanti parole.
Bruno
Magnolfi
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