La donna percorre tutto il corridoio lasciando leggermente scandire dai
tacchi delle scarpe i suoi passi, e guardandosi attorno; l'uomo, con
atteggiamento più remissivo, si limita a seguirla. Alla fine c'è una stanza con
un cartello che definisce la sala d'attesa, dove al momento non si vede ancora
nessuno. I due si siedono, in silenzio. Lei dice subito che secondo il suo
parere dovrebbero bussare magari senza insistenza a quell'unica porta chiusa
che si apre nella parete di fronte alla loro fila di sedie, e così far presente
che sono già arrivati per l’appuntamento, ma l'uomo le dice un po’ sottovoce
che probabilmente è meglio restare seduti ed attendere, semplicemente
aspettando che vengano chiamati. La donna non replica, anche se non è del tutto
convinta, così poco dopo si alza e si avvicina alla porta nel tentativo almeno
di decifrare i lievi rumori che si odono giungere a tratti dall'interno, ma poi,
raccolta una vecchia rivista da un tavolinetto, torna a sedersi. Vedrai, non ci
sarà da aspettare ancora per molto, fa lui. Lei lo guarda per un attimo senza
replicare, forse pensa qualcosa di diverso, ma non si esprime.
Poi si sentono dei passi lungo il corridoio, lo stesso che hanno percorso
loro due poco prima, quindi dei semplici rumori come di una serratura e di una
porta che viene aperta. L'uomo si alza, si affaccia sul corridoio, poi rientra.
Non c’è nessuno, dice, quasi con una certa soddisfazione. Poi dice: sei sicura
di avere portato con te tutte le carte? Certo, risponde la donna, ho nella
borsa tutto quanto quello che serve.
Arriva una signora, chiede con un lieve sorriso se hanno già cominciato a
chiamare, la donna le dice di no guardandola fissa e scuotendo leggermente la
testa. Meno male, dice la signora mentre si siede di fianco alla coppia, perché
sono un poco in ritardo. La donna allora, tirando fuori i suoi incartamenti, le
chiede per quale ora le era stato fissato l'appuntamento, l'altra dice le tre e
mezza, e l'orologio a parete, presumibilmente preciso, segna quasi le quattro.
Stando così le cose, dice l'uomo, ne avremo per un bel pezzo: noi abbiamo
appuntamento per le quattro ed un quarto, ma se non hanno ancora iniziato a
chiamare, la faccenda si allunga. Forse bisognerebbe bussare, dice insistendo la
donna, ma la signora arrivata da poco la frena, sostenendo che ha già sentito
dire che là dentro a volte allentano i tempi con qualche cliente. Ci predisponiamo
subito male se arriviamo a mettere fretta alle loro cose, dice con un altro
sorriso. Restano così tutti in silenzio per qualche minuto. Ed anche dietro
alla porta sembra non ci siano più rumori, mentre l’attesa continua a protrarsi.
Arriva un uomo dal solito corridoio, chiede se sia lì che riceve un certo
dottor Bertelli, ma i tre scuotono la testa. Ad essere sinceri, dice la donna,
abbiamo un appuntamento, ma non sappiamo esattamente con chi. L’uomo torna sui
suoi passi, si sente che sta telefonando a qualcuno lungo il corridoio, usa
poche parole, poi alza subito la voce, dice qualcosa sgarbatamente, infine
chiude la chiamata e poi se ne va.
I tre rimasti in sala d’attesa adesso si guardano, la donna si alza, va
verso la porta, bussa leggermente come per non disturbare, ma da lì non giunge
alcuna risposta. Insiste, e alla fine arriva una persona giovane, con l’aria
scocciata, dice che oggi non è giornata di ricevimenti, hanno sbagliato la data
per l’appuntamento, devono ritelefonare per fissarne una nuova, poi torna a
richiudere la porta. I tre non si dicono niente, si muovono sconsolati lungo il
corridoio quasi per andarsene, ma ecco che torna l’uomo di prima, passa loro
accanto e va ad infilarsi nella sala d’attesa e poi dentro la porta, senza
neppure bussare. Dopo un attimo esce: è chiuso, dice loro senza neppure guardarli;
per oggi non c’è proprio niente da fare.
Bruno Magnolfi
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