La descrizione di questo caso non appare troppo semplice, dice
l'insegnante. Sicuramente oltre allo scarso rendimento dobbiamo parlare anche
di disagio, anche se non c'è la sicurezza che questa parola alla fine spieghi
molto. Bisogna però dire che i fatti sono più che evidenti, e che risulta
impossibile fingere che siano cose di ogni giorno. Ma forse a questo punto alcuni
genitori magari vorrebbero porre delle domande, interrogarci su qualcosa di
specifico, dice ancora l'insegnante rivolgendosi un po’ a tutti. Invece, a
parte il borbottio diffuso, sembra che nessuno abbia davvero qualcosa di
ulteriore da chiedere. Difficile immaginare lo sviluppo di un ragazzo pieno di
piccoli problemi come quello, pensano e dicono quei genitori mentre già alcuni
si alzano dalle sedie; eppure sicuramente è doveroso affrontare anche quel
caso, e cercare di comprenderne tutti i possibili risvolti. La piccola riunione
a quel punto sembra però conclusa: tutti adesso sono in piedi e qualcuno inizia
anche a salutare gli altri per scappare via, dietro ai problemi di ogni giorno.
Papà e mamma si comportano sempre normalmente con me, spiega il ragazzo
nella registrazione audio effettuata dentro all’ufficio del preside. L’uomo lo
guarda dalla sufficiente distanza che gli conferiscono la laurea alle sue
spalle e la lucida scrivania di legno, ma infine si alza, gira attorno al
mobile per arrivargli più vicino, ed anche se poi finisce per osservarlo terribilmente
dall’alto al basso, ugualmente gli chiede: tu lo capisci vero che non posso proprio
fare altro? Il ragazzo si alza, come per rompere quel senso di disagio che continua
a provare; ed anche se adesso tiene gli occhi bassi, si sente deciso a salutare
il preside e ad uscire dal suo ufficio, ma mentre si volta per andarsene via,
gli viene spontaneo di dire sottovoce che secondo lui è stato sbagliato proprio
tutto, anche se l’uomo finge di non sentirlo, proprio mentre anche lui di
rimando finge come di aver detto quella frase soltanto per se stesso.
I compagni lo salutano, pur senza enfasi, quando lo vedono passare dal
corridoio scolastico. Lui esce dall’edificio, senza minimamente affrettarsi: la
sua sospensione durerà ancora qualche giorno, poi le cose forse riprenderanno in
un’aura di normalità. Però il ragazzo sa già dentro di sé che non potrà più essere
la stessa cosa lo stare in classe e seguire le lezioni, lasciarsi interrogare
da quei soliti insegnanti, fare i compiti e le esercitazioni, scherzare come tutti
gli altri ragazzi. Qualcosa si è incrinato, anche se non riuscirebbe mai a
descrivere che cosa effettivamente sia successo. Anche con i suoi genitori, non
sarà più lo stesso di prima: adesso è come se portasse un elemento estraneo a
tutti dentro di sé, qualcosa che probabilmente terrà gli altri più a distanza,
quasi fosse un appestato, oppure uno diverso, uno del quale non ci si può fidare
completamente.
Ciao mamma, dice il ragazzo rientrando in casa. Lei risponde al saluto, ma avrebbe
forse voglia di abbracciarlo, di spiegargli che d’ora in avanti dovranno stare
più vicini, dirsi tutte le cose che fino adesso hanno taciuto, spiegare ogni
piccolo dettaglio; ma non lo fa, restando ad occuparsi di qualcosa in cucina,
come sempre. Probabilmente affronteranno l’argomento quando saranno tutti a
tavola, di fronte ai piatti e alle posate. Il ragazzo terrà i suoi occhi bassi,
suo padre dirà qualcosa di analitico e pesante, sua madre cercherà di prendere
le sue difese. Ma lui si sentirà già differente, e le sue riflessioni lo renderanno
grande, forse più consapevole di sé. E non gli importerà assolutamente niente
di quello che è successo: i suoi pensieri saranno ancora suoi, non avrà da
spartirli con nessuno, e nessuno si immaginerà mai che cosa lui avesse davvero
immaginato.
Bruno Magnolfi