La stanza ha due finestre. Spesso mi piazzo seduto
a guardare fuori dai vetri, al primo piano dell’appartamento dove abito con la
mia famiglia, e scansando le tende osservo tutte quante le persone che lungo i camminamenti
transitano a fianco di questa strada di fronte, soprattutto quegli individui
che girano all’angolo, ed offrono alla mia vista dapprima il loro fianco, ed
appena un attimo dopo anche l’altro, a patto che non riescano a sfuggirmi
improvvisamente attraversando la via sopra al passaggio pedonale. Generalmente
fingo con indifferenza di essere impegnato in qualcosa, perché non vorrei in
nessun modo essere notato come un curioso qualsiasi, ma di fatto osservo
attentamente quei modi di camminare, quelle espressioni del viso, ed anche
quelle diverse maniere di affrontare la realtà pur sopra questo semplice
marciapiede del nostro quartiere.
Evidente che ritengo di avere la stoffa
dell’osservatore, di quello che riesce assolutamente a percepire dettagli di
personalità da semplici scampoli di atteggiamenti, ma tutto questo in fondo non
ha per me minimamente importanza, in quanto il piacere vero che riesco a
provare è solo quello dato dalla mia innata intuizione dei gesti e dei
comportamenti degli altri. Conosco perfettamente la maniera dettata da
timidezza di toccarsi il naso di uno, proprio mentre l’altro lo incrocia. Così
come non mi meraviglia affatto l’abbassare lo sguardo di una donna di fronte ad
un gruppo di gente che gli sta proprio passando vicino.
Sto qua, scanso le tende, spolvero il davanzale di
una finestra, ancora pulisco con un panno i vetri già cristallini che mi stanno
davanti. Perdo tempo, spingo in avanti qualcosa che forse dovrei affrontare
sull’immediato, ma tutto questo non ha ancora alcuna importanza, se non quando
mi accorgo che proprio in questo momento, in questo attimo esatto, sta passando
davanti alle mie finestre una persona qualsiasi, un tizio preoccupato soltanto
di sé, dei suoi modi di comportarsi pubblicamente, delle sue sciocche maniere
di essere soltanto un animale sociale. Sorrido, sostengo la sua maniera di
essere, conosco quel modo di stringere i denti di fronte a qualcosa che non si
conosce, all’oscuro che ti sbarra la strada, che la fa divenire quasi una
giungla zeppa di insidie.
Non nutro un interesse particolare per lui, certo,
però mi attirano i suoi modi, ed ancora di più mi attrae cercare di comprendere
quali siano i suoi pensieri, perché sono quasi sicuro di conoscerli, di averne
un'idea più che precisa, e di sapere che cosa quell’individuo si aspetti dalla
sua giornata. Lo lascio scivolare lungo il marciapiede, aspetto con fermezza
che giri all'angolo, come d’altronde fanno quasi tutti, ma invece lui si ferma,
resta perplesso, quasi preoccupato, forse addirittura non sa neanche come,
oppure verso dove procedere. Si guarda in giro, ho come l'impressione che,
quasi avvertendo la presenza di un assurdo campo magnetico, cerchi attorno a sé
la naturale fonte di tutto questo. Infine alza la testa, si volta verso le
case, affina il suo sguardo, ed in conclusione mi punta direttamente, come
scoprendo che sono proprio io, di fronte a lui, apparentemente protetto dai
vetri, l’ origine delle sue indecisioni. Mi osserva, aspira l'aria come
caricando dell’astio, poi sputa a terra in segno di profondo disprezzo.
Quando riprende a camminare attraversando la
strada, io resto del tutto sbalordito: ancora pochi secondi per vedere le sue
spalle, poi più niente, ancora meno di un grande punto interrogativo rimasto
sopra la strada. Mi guardo le mani, sento la faccia scottare: tutto mi sfugge,
le mie convinzioni sono crollate; tiro le tende, rientro, mi siedo: basta per
oggi, rifletto, non ho nessuna diversa possibilità.
Bruno Magnolfi
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