La prima volta che lo vidi, mi lasciò del tutto indifferente. Comunque
fosse però, non ci trovavo niente di male a darmi un'occhiata in giro ogni
tanto, anche se mia madre sicuramente avrebbe avuto qualcosa da ridire. Non ero
bella, come peraltro non sono mai stata, e a quell'epoca neppure mi curavo
troppo. Diciamo che con un certo impegno riuscivo a fare bella figura giusto se
assumevo qualche espressione curiosa con gli occhi oppure con la faccia. Così,
incontratolo di nuovo, lo guardai un po’ meglio, ed iniziai a far caso a quei
suoi modi, alla maniera di camminare, all'abbigliamento, e così via. In seguito
però mi sentii noiosa, e così mi disinteressai di lui quasi completamente, e
presi addirittura a transitare dall'altro marciapiede della strada, dove spesso
mi fermavo ad osservare la vetrina di qualche negozio già illuminato di
mattina. Forse il mio comportamento era del tutto inconscio, non saprei dirlo,
e in fondo è probabile mi comportassi così soltanto per non trovarmi nuovamente
di faccia proprio quel ragazzone taciturno.
Fu lui invece che una mattina si fece trovare lì, davanti a me, come se
fosse la cosa più naturale della terra. Avrei dovuto sorridergli, penso adesso,
fargli un qualsiasi cenno timido, ma invece non lo feci, e neppure quel ragazzo
a dire la verità cambiò espressione quando mi avvistò. Però prendemmo ad
incontrarci quasi ogni giorno da quel lato della strada, nella stessa esatta maniera,
sempre senza salutarci, solo sfiorandosi ed evitando addirittura di rallentare
il passo, mentre presumibilmente ci recavamo ognuno al proprio posto di lavoro.
Lo odiavo quasi, a un certo punto, proprio perché non riuscivo a sopportare
quella situazione di stallo creatasi in questo modo, senza che nessuno di noi
due ne avesse neanche avuta in fondo alcuna responsabilità. Lui probabilmente
non mi ignorava del tutto, però era chiaro come non facesse niente per cambiare
qualche cosa di tutta la faccenda. Poi iniziai a pensare che doveva esserci
come un accordo segreto tra me e lui, una specie di intesa attraverso la quale
noi due perduravamo a comportarci in quella stessa maniera, quasi come un
gioco, o una scommessa. Evitavo persino di guardarlo, la maggior parte delle
volte, però mi veniva da sorridere anche da sola mentre in quell’attimo gli
passavo vicina. Le cose a quel punto sarebbero diventate soltanto frutto delle
più scontate abitudini, se non fosse stato che una mattina portai insieme con
me, raccontandogli una frottola per convincerlo, mio fratello minore.
Lo presi a braccetto camminando, e lui, il ragazzone, rimase indubbiamente
stupefatto della comparsa, ne sono certa, al punto che mi parve addirittura
allargasse la bocca in una smorfia proprio mentre i nostri sguardi si
incontravano. Nei giorni seguenti però le cose ripresero il medesimo andamento,
fino al momento in cui, una mattina qualunque, lui mi fermò sul marciapiede, e
disse con una voce quasi esile di chiamarsi Enrico, e che secondo lui, visto
oramai che ci incontravamo tutti i giorni, dovevamo iniziare almeno a
salutarci. Accennai di sì con la testa, ma non mi aspettavo quella uscita, cosi
mi sentivo improvvisamente frastornata, perciò dopo quella breve interruzione,
ripresi il mio passo di sempre, anche se poco dopo mi girai più di una volta
quasi a sincerarmi che fosse proprio vero quanto era accaduto appena un momento
prima. Però non riuscii a comprendere, e ancora adesso non riesco a deciderlo,
se mi piacque davvero tutto questo, o se al contrario mi parve solamente una
gratuita forzatura di qualcosa. Però, sin dalla mattina seguente, dopo averci
pensato quasi tutta quella notte, fino a farmi venire un enorme mal di testa,
decisi che non sarei passata più da lì, e fu per questo che, quasi con
naturalezza, semplicemente cominciai a cambiare strada.
Bruno Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento