mercoledì 4 marzo 2015

Decise variazioni.



La prima volta che lo vidi, mi lasciò del tutto indifferente. Comunque fosse però, non ci trovavo niente di male a darmi un'occhiata in giro ogni tanto, anche se mia madre sicuramente avrebbe avuto qualcosa da ridire. Non ero bella, come peraltro non sono mai stata, e a quell'epoca neppure mi curavo troppo. Diciamo che con un certo impegno riuscivo a fare bella figura giusto se assumevo qualche espressione curiosa con gli occhi oppure con la faccia. Così, incontratolo di nuovo, lo guardai un po’ meglio, ed iniziai a far caso a quei suoi modi, alla maniera di camminare, all'abbigliamento, e così via. In seguito però mi sentii noiosa, e così mi disinteressai di lui quasi completamente, e presi addirittura a transitare dall'altro marciapiede della strada, dove spesso mi fermavo ad osservare la vetrina di qualche negozio già illuminato di mattina. Forse il mio comportamento era del tutto inconscio, non saprei dirlo, e in fondo è probabile mi comportassi così soltanto per non trovarmi nuovamente di faccia proprio quel ragazzone taciturno.
Fu lui invece che una mattina si fece trovare lì, davanti a me, come se fosse la cosa più naturale della terra. Avrei dovuto sorridergli, penso adesso, fargli un qualsiasi cenno timido, ma invece non lo feci, e neppure quel ragazzo a dire la verità cambiò espressione quando mi avvistò. Però prendemmo ad incontrarci quasi ogni giorno da quel lato della strada, nella stessa esatta maniera, sempre senza salutarci, solo sfiorandosi ed evitando addirittura di rallentare il passo, mentre presumibilmente ci recavamo ognuno al proprio posto di lavoro.
Lo odiavo quasi, a un certo punto, proprio perché non riuscivo a sopportare quella situazione di stallo creatasi in questo modo, senza che nessuno di noi due ne avesse neanche avuta in fondo alcuna responsabilità. Lui probabilmente non mi ignorava del tutto, però era chiaro come non facesse niente per cambiare qualche cosa di tutta la faccenda. Poi iniziai a pensare che doveva esserci come un accordo segreto tra me e lui, una specie di intesa attraverso la quale noi due perduravamo a comportarci in quella stessa maniera, quasi come un gioco, o una scommessa. Evitavo persino di guardarlo, la maggior parte delle volte, però mi veniva da sorridere anche da sola mentre in quell’attimo gli passavo vicina. Le cose a quel punto sarebbero diventate soltanto frutto delle più scontate abitudini, se non fosse stato che una mattina portai insieme con me, raccontandogli una frottola per convincerlo, mio fratello minore.
Lo presi a braccetto camminando, e lui, il ragazzone, rimase indubbiamente stupefatto della comparsa, ne sono certa, al punto che mi parve addirittura allargasse la bocca in una smorfia proprio mentre i nostri sguardi si incontravano. Nei giorni seguenti però le cose ripresero il medesimo andamento, fino al momento in cui, una mattina qualunque, lui mi fermò sul marciapiede, e disse con una voce quasi esile di chiamarsi Enrico, e che secondo lui, visto oramai che ci incontravamo tutti i giorni, dovevamo iniziare almeno a salutarci. Accennai di sì con la testa, ma non mi aspettavo quella uscita, cosi mi sentivo improvvisamente frastornata, perciò dopo quella breve interruzione, ripresi il mio passo di sempre, anche se poco dopo mi girai più di una volta quasi a sincerarmi che fosse proprio vero quanto era accaduto appena un momento prima. Però non riuscii a comprendere, e ancora adesso non riesco a deciderlo, se mi piacque davvero tutto questo, o se al contrario mi parve solamente una gratuita forzatura di qualcosa. Però, sin dalla mattina seguente, dopo averci pensato quasi tutta quella notte, fino a farmi venire un enorme mal di testa, decisi che non sarei passata più da lì, e fu per questo che, quasi con naturalezza, semplicemente cominciai a cambiare strada.

Bruno Magnolfi


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