Di lei, osservandola in un momento qualsiasi della giornata, sembra di non
poter riuscire quasi mai ad immaginare esattamente quale sarà il suo
comportamento appena un attimo dopo. La guardi certe volte e ti pare triste,
quando poi sai che le basta magari ascoltare qualche parola di un impiegato nel
corridoio degli uffici, ed eccola irrompere nell'aria con una delle sue risate
cristalline. Quando poi termina l’orario di lavoro, e presa la sua borsa se ne
incammina giù per le scale, a volte ti pare inspiegabilmente che debba andare
al patibolo, tanto sembra abbacchiata. Nessuno tra tutti i colleghi riesce ad
avere troppa confidenza con lei: forse perché risulta troppo contorta la sua
personalità, probabilmente, e troppo instabili quei suoi comportamenti.
Poi la incontro al supermercato, di sabato, per la prima volta fuori dal
nostro solito luogo di lavoro, e lei mi saluta, appena mi vede, pur senza
grande enfasi. Non mi preoccupo, la guardo mentre spinge il carrello, scorre la
fila lungo gli scaffali, si sofferma a prendere qualche prodotto, e mi pare
proprio una come tutte le altre, senza alcuna differenza rimarchevole. Però mi
sento a disagio, vado verso le casse ed ho quasi paura di incontrarla di nuovo,
poi torno indietro, percorro un altro corridoio e forse vorrei addirittura ritrovarmela
all’improvviso di fronte.
Alla fine pago ed esco da lì, le mani ingombre con i sacchetti e tutto il
resto; infine raggiungo il parcheggio, ed eccola nuovamente di faccia a me mentre
sta discutendo con qualcuno che io non conosco. Vorrei disinteressarmi del
tutto di quanto sta accadendo e di tutti i suoi problemi, però mi appare leggermente
in difficoltà, cosi mi faccio forza e mi avvicino; lei effettivamente è
irritata: spiega all'altro, con voce squillante, che non va bene tenderle quasi
un agguato in un qualsiasi parcheggio. Forse quello è il suo ex fidanzato,
penso, così le volto subito le spalle, e cerco la maniera migliore per
andarmene, ma lei mi chiama, dice subito all'altro che io sono soltanto il suo
collega di lavoro, e che comunque i fatti suoi a me non riguardano.
L'altro mi osserva, spiega, con voce che in parte mi coinvolge, che
vorrebbe soltanto spiegarsi con calma, nient'altro, ma lei continua a dire che
sa già perfettamente cosa lui vuole dirle, e che non le interessa minimamente.
Lui allora resta in silenzio, io sto fermo, non so cosa fare, lei apre la sua
macchina, sistema le compere: Marretti, mi dice improvvisamente, perché non
andiamo io e lei a prenderci un caffè?, e poi sorride, senza neanche voltarsi
un attimo verso di lui. Lui al contrario si volta, se ne va, e mi fa persino un
po’ pena. Non so cosa rispondere, ma dico va bene per non dover trovare una
scusa che mostrerebbe la mia indole poco felice nell’inventare balle.
Salgo sulla sua macchina, si arriva velocemente presso un bar poco lontano,
lei accosta, scendiamo. Lei adesso pare preoccupata. Forse addirittura proprio di
quel tizio a cui ha voltato le spalle, penso senza dire niente. Il cameriere ci
serve, io le sorrido tanto per rompere quel lieve imbarazzo. Lei mi guarda
fisso, poi dice che non sa come ringraziarmi per quello che ho fatto, ma
probabilmente pensa già ad altro. Se ci rifletto non capisco neppure a che cosa
si riferisca, ma la lascio dire, anche se vorrei farmi piccolo e basta.
Il giorno seguente in ufficio lei sta fotocopiando qualcosa nel corridoio.
Le tocco un braccio arrivando, sorrido, lei si volta; mi guarda per un attimo,
come per chiedermi che cosa io voglia da lei, così abbasso lo sguardo, mi
discosto. Quando torno a sedermi alla mia scrivania so che c’è qualcosa che non
ho compreso per niente; ma non so cosa sia, neppure se ci penso, per questo forse
è bene che mi lasci semplicemente sprofondare nel mio lavoro.
Bruno Magnolfi
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