Come va? dice subito lui mentre osserva con curiosità il suo collega che
entra dentro al magazzino, il passo incerto, l'espressione di chi forse vuol
mostrare che il suo periodo di malattia non è stato per nulla una normale
passeggiata. Tutto a posto, dice l'altro sollevando una mano per lo scambio di
una stretta veloce, come a mostrare che comunque può ancora farcela a salutare
come si deve, e che gli serviranno forse soltanto pochi minuti, una mezz’ora al
massimo, per riprendere appieno il suo lavoro come sempre. Durante i lunghi
periodi precedenti, non sempre c'è stato
esattamente un buon clima tra di loro: certe volte hanno battibeccato a fondo
ed aspramente su come portare avanti i compiti in reparto, e in altri casi si
sono tenuti il muso lungo anche solo reclamando ognuno una superiore competenza
in quella attività; in molti di quei casi le scaffalature del magazzinaggio
sono state evidentemente interpretate in maniera differente, anche se ambedue
hanno sempre saputo che era soltanto la loro diversa personalità a far apparire
tutto suscettibile di profonde differenze di valutazione. Adesso però, dopo che
lui ha dovuto far fronte da solo a tutto quanto, durante quelle due ultime
interminabili settimane, è chiaro che sente come naturale tirare un pur leggero
sospiro di sollievo al rientro del collega.
Nel capannone sembra almeno a prima vista che non sia cambiato niente: gli
stessi nastri trasportatori al centro dove vengono assemblati i colli, e tutto
intorno in verticale gli imballaggi siglati dei pezzi di ricambio, inventariati
e sistemati sopra i piani, ai soliti posti. Lui sorride indossando il camice
blu, l'altro esegue la stessa operazione in attesa che gli venga suggerito da
dove riprendere la propria attività. Ci sono i fogli degli ordini sulla scrivania,
ma vanno considerate diverse cose prima di iniziare con le procedure. Lui lo
guarda, gli dice qualcosa di tecnico, un aggiornamento, l'altro sembra seguirlo
perfettamente in quelle riflessioni. Poi iniziano a mettere insieme il primo
pancale, a prendere quello che serve, e ad iniziare la composizione dell’unità
di carico. Pare proprio che tutto riprenda esattamente com’è sempre stato, ma
ad un tratto l'altro si ferma, lo guarda, dice: senti, ho deciso di chiedere il
trasferimento ad un altro reparto. Lui si ferma, lo guarda, poi sistema lentamente
un' altra scatola.
Per quale motivo?, vorrebbe forse chiedergli; ma non lo fa, perché in
qualche modo conosce già quale sia la risposta. Per un attimo forse si sente
sollevato, ma contemporaneamente anche perplesso, e se continua a pensarci un
po’ più a fondo, un filo di amarezza sembra quasi paralizzarlo. Vorrei che tu
ci riflettessi bene, gli dice soltanto. L’altro sorride, come a sottolineare
che ne ha avuto davvero tutto il tempo durante quei giorni trascorsi in
malattia. Segue una pausa, in cui i due proseguono con pieno impegno le loro
occupazioni. Se è solo per le mie sparate a cui ti ho sottoposto qualche volta,
dice lui, sappi che mi dispiace, e vorrei tanto che tu non dessi seguito alla
tua decisione. L’altro lo guarda, pare riflettere: no, non è esattamente per
questo, gli dice. Credo però che con il nostro comportamento stiamo facendoci
del male a vicenda, ed è bene il prima possibile porre un rimedio a tutto
questo.
Il lavoro procede, ed anche la giornata, ma le parole che si scambiano i
due all’interno del magazzino sono oramai puramente di ordine lavorativo, senza
fare più nessun accenno a quanto emerso inizialmente. Lui non si sarebbe mai
aspettato qualcosa di quel genere, ed adesso, maggiormente ci riflette, sempre
più stupido gli pare il proprio comportamento, qualsiasi sia stato. Arriva la
fine dell'orario di lavoro, l'altro passa dallo spogliatoio, si cambia, poi lo
saluta uscendo, senza aggiungere parole. Lui lo guarda, gli dice solo ciao,
nient'altro; forse però, dentro di sé, vorrebbe quasi correre dal suo collega,
abbracciarlo, e adesso dirgli che la colpa di tutto è solo sua.
Bruno Magnolfi
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