giovedì 12 marzo 2015

Dentro un comportamento già definito.

            

Come va? dice subito lui mentre osserva con curiosità il suo collega che entra dentro al magazzino, il passo incerto, l'espressione di chi forse vuol mostrare che il suo periodo di malattia non è stato per nulla una normale passeggiata. Tutto a posto, dice l'altro sollevando una mano per lo scambio di una stretta veloce, come a mostrare che comunque può ancora farcela a salutare come si deve, e che gli serviranno forse soltanto pochi minuti, una mezz’ora al massimo, per riprendere appieno il suo lavoro come sempre. Durante i lunghi periodi precedenti, non  sempre c'è stato esattamente un buon clima tra di loro: certe volte hanno battibeccato a fondo ed aspramente su come portare avanti i compiti in reparto, e in altri casi si sono tenuti il muso lungo anche solo reclamando ognuno una superiore competenza in quella attività; in molti di quei casi le scaffalature del magazzinaggio sono state evidentemente interpretate in maniera differente, anche se ambedue hanno sempre saputo che era soltanto la loro diversa personalità a far apparire tutto suscettibile di profonde differenze di valutazione. Adesso però, dopo che lui ha dovuto far fronte da solo a tutto quanto, durante quelle due ultime interminabili settimane, è chiaro che sente come naturale tirare un pur leggero sospiro di sollievo al rientro del collega.
Nel capannone sembra almeno a prima vista che non sia cambiato niente: gli stessi nastri trasportatori al centro dove vengono assemblati i colli, e tutto intorno in verticale gli imballaggi siglati dei pezzi di ricambio, inventariati e sistemati sopra i piani, ai soliti posti. Lui sorride indossando il camice blu, l'altro esegue la stessa operazione in attesa che gli venga suggerito da dove riprendere la propria attività. Ci sono i fogli degli ordini sulla scrivania, ma vanno considerate diverse cose prima di iniziare con le procedure. Lui lo guarda, gli dice qualcosa di tecnico, un aggiornamento, l'altro sembra seguirlo perfettamente in quelle riflessioni. Poi iniziano a mettere insieme il primo pancale, a prendere quello che serve, e ad iniziare la composizione dell’unità di carico. Pare proprio che tutto riprenda esattamente com’è sempre stato, ma ad un tratto l'altro si ferma, lo guarda, dice: senti, ho deciso di chiedere il trasferimento ad un altro reparto. Lui si ferma, lo guarda, poi sistema lentamente un' altra scatola.
Per quale motivo?, vorrebbe forse chiedergli; ma non lo fa, perché in qualche modo conosce già quale sia la risposta. Per un attimo forse si sente sollevato, ma contemporaneamente anche perplesso, e se continua a pensarci un po’ più a fondo, un filo di amarezza sembra quasi paralizzarlo. Vorrei che tu ci riflettessi bene, gli dice soltanto. L’altro sorride, come a sottolineare che ne ha avuto davvero tutto il tempo durante quei giorni trascorsi in malattia. Segue una pausa, in cui i due proseguono con pieno impegno le loro occupazioni. Se è solo per le mie sparate a cui ti ho sottoposto qualche volta, dice lui, sappi che mi dispiace, e vorrei tanto che tu non dessi seguito alla tua decisione. L’altro lo guarda, pare riflettere: no, non è esattamente per questo, gli dice. Credo però che con il nostro comportamento stiamo facendoci del male a vicenda, ed è bene il prima possibile porre un rimedio a tutto questo.
Il lavoro procede, ed anche la giornata, ma le parole che si scambiano i due all’interno del magazzino sono oramai puramente di ordine lavorativo, senza fare più nessun accenno a quanto emerso inizialmente. Lui non si sarebbe mai aspettato qualcosa di quel genere, ed adesso, maggiormente ci riflette, sempre più stupido gli pare il proprio comportamento, qualsiasi sia stato. Arriva la fine dell'orario di lavoro, l'altro passa dallo spogliatoio, si cambia, poi lo saluta uscendo, senza aggiungere parole. Lui lo guarda, gli dice solo ciao, nient'altro; forse però, dentro di sé, vorrebbe quasi correre dal suo collega, abbracciarlo, e adesso dirgli che la colpa di tutto è solo sua.


Bruno Magnolfi

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