Piero
sta portando fuori il cane, come ogni sera, dopo le dieci. C’è un grande
giardino comunale dietro casa sua, giusto duecento metri di marciapiede e poi è
arrivato. A fianco parcheggiano le auto, a lisca di pesce, lui costeggia quelle
macchine, entra nell’erba, quindi scioglie il guinzaglio, e va a sedersi tranquillo
sopra una delle panchine. In genere è da solo, osserva il suo cane, pensa ai
fatti propri, si trattiene lì soltanto una mezz’oretta. Poi richiama l’animale,
torna ad agganciare il guinzaglio, e infine se ne va, per tornarsene a casa, senza
alcuna fretta.
I ragazzi
imboccano la striscia del parcheggio lasciando stridere le gomme sopra l'asfalto,
il motore sembra mugghiare per l'alto numero dei giri, loro probabilmente
ridono delle furbate che riescono a fare quando sono in compagnia. Il cane di
Piero si prende una frazione di secondo in cui fiuta il pericolo di quei fari
che piombano improvvisamente su di lui, tenta forse uno scarto, ma ormai non c'è più tempo, la
parte destra del paraurti lo striscia su un fianco, lo scaraventa subito a
terra, senza dargli alcuna possibilità di difesa. Piero tiene ancora il
guinzaglio, guarda il suo cane che mugola, e in un attimo si rivolge verso i
ragazzi che all’improvviso sono fermi e forse si rendono conto di quello che
hanno fatto. Allora li affronta, il sangue caldo circola in fretta, tutto è
immediato, gli manca quasi l’aria mentre apre lo sportello di quello che guida.
Il primo pugno
lo sferra in pieno viso, senza attendere niente, poi, quando l’amico scende per
difendere l’altro, lui è cosciente di avere ormai lasciato il guinzaglio, di
difendere qualcosa estremamente più importante di qualsiasi altra cosa, e non
gli importa se ci saranno conseguenze per quello che sta facendo. Stende a
pugni e a pedate il secondo, e in seguito anche il terzo, è una furia scatenata
la sua, e forse, se avesse solo il tempo per riflettere, non riuscirebbe
neppure a ricordare in tutta la sua vita quando si sia sentito un’altra volta così,
forse perché non c’è mai stata una volta paragonabile, ma questo non ha alcuna importanza,
perché tutta la sua esistenza si è come concentrata in questo momento, adesso,
senza alcuna alternativa.
Piero piange
di rabbia, alla fine, prova l’importanza di quel momento, sente le mani
doloranti, vorrebbe ancora spaccare i fari di quella macchina stupida assurdamente
rimasti accesi, aspira quel silenzio fermo dell’aria, guarda i suoi nemici che
si divincolano a terra nei loro dolori, vorrebbe distruggerli ancora,
schiacciarli, eliminarli completamente, ma il suo cervello in pochi secondi
ricomincia a funzionare quasi regolarmente. I ragazzi si rialzano, uno vomita,
gli altri due si sorreggono a vicenda. Non sanno neppure se risalire in
macchina o cercare di parlare con quell’energumeno che forse ha dato loro la
lezione che in fondo si sono meritati, ma proprio in quel momento guardano il
guinzaglio che è rimasto lì a terra.
Piero segue d’istinto
quel loro sguardo, si volta , ha ancora le mani contratte, forse vorrebbe
ancora scatenare sopra di loro una parte di quella violenza provata dentro al
suo spirito, ma adesso c’è qualcosa che lo richiama alla realtà, c’è qualcosa
che gli chiede un gesto diverso. Il cane è a terra, lo guarda, Piero lo prende,
sembra quasi non abbia delle ferite, forse zoppica un po’, ma sembra qualcosa
di poco conto. E’ un film sbagliato, dicono tutti, bisogna cambiare, pensare molto
a cose del genere, e infine tornare ad essere umani.
Bruno Magnolfi
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