Anche se fosse vera, è evidente che per lui sarebbe la medesima cosa. Un
piccolo pezzo di plastica bianca ed opaca, opportunamente curvo e con la punta
arrotondata, che lui sostiene essere stata un'unghia di sua madre, prima di
morire; ed anche se nessuno ha mai potuto credere ad una cosa del genere,
ugualmente non viene mai messo in dubbio che sia effettivamente così, almeno
quando a lui gli va di parlarne. In ogni caso, pur se non si comprendesse il
significato di trattenere in un cofanetto una reliquia del genere, a maggior
ragione portarsene dietro una scopertamente falsa sembra quasi un segnale di
malattia mentale, o qualcosa del genere.
Per il resto lui parla poco, se ne sta sempre in disparte, ma a qualsiasi cosa gli venga chiesta
risponde sempre correttamente, a voce bassa, e con cortesia. Nel locale che
frequenta di pomeriggio, nessuno si è mai permesso di prenderlo in giro, anche
se tutti sanno cosa tiene dentro alla tasca. Il signor Edgar arriva per la
prima volta in un giorno qualsiasi, si siede, si fa portare una birra. Quando
attacca discorso con lui che tra tutti gli è il più vicino, qualcuno vede il
suo interlocutore frugare dentro alla tasca della propria giacca, quasi per un
gesto scaramantico, forse, o per cercare là dentro una maggiore forza con cui
affrontare gli argomenti dello straniero.
Infine, dopo alcune birre già tracannate, escono assieme probabilmente per
una passeggiata, il signor Edgar e lui, e quando il giorno seguente si
ritrovano lì alla medesima ora, in fondo nessuno prova alcuna meraviglia. Pare
a tutti che stia nascendo una grande amicizia, anche considerato il fatto che
il signor Edgar parla piuttosto male la lingua italiana, e forse la comprende
anche peggio, ed in questa fase in molti si chiedono se il suo amico gli abbia
già fatto vedere l'unghia finta, o se ancora si sia trattenuto dal farlo per un
riserbo che in certi casi analoghi ha già manifestato ampiamente.
Le cose vanno avanti così per un breve periodo: loro due si ritrovano a fine
pomeriggio, si fanno qualche birra parlando ad un tavolino, e poi si salutano,
prendendo ognuno per la sua strada. Ma stasera non è andata come sempre, il
signor Edgar è da solo, e sembra stralunato, quasi alla ricerca del suo strano
amico. Lui non si fa neanche vedere, e quando ormai è ora di cena, e tutti si
avviano verso la propria abitazione, eccolo infine che arriva, gli occhi bassi,
il fare dimesso, le mani sprofondate dentro le tasche.
Ho perso l’unghia, dice al barista dopo essersi accostato al bancone, e
sembra quasi sul punto di piangere. Dietro di lui, il signor Edgar lo guarda
alzandosi dal tavolino, poi lentamente, come per non disturbarlo, apre la porta
e scivolando se ne va via, quasi conoscesse già perfettamente quella storia che
sta raccontando. Visto di spalle gli sembra forse un uomo finito, privo anche di
qualsiasi volontà per andare avanti. Il barista gli versa una birra, lui la
beve quasi d’un fiato, poi, quando sembra sentirsi un po’ meglio, chiede facendosi
forza del signor Edgar. E’ appena andato via, gli dice in fretta qualcuno, come spingendolo ad andargli dietro;
vigliacco, fa lui, non vuole neppure starmi vicino, e magari aiutarmi nella mia
ricerca disperata del cofanetto.
Tutto così sembra precipitare, ma quando lui poco dopo fa per andarsene da
quel locale, ecco che sulla porta ritorna e lo ferma il signor Edgar; lo
guarda, gli dice qualcosa, quindi gli stringe la mano, annuisce qualcosa, e
infine vanno via insieme. Si dice che qualcosa dovrà per forza succedere, e che
forse l’unghia non verrà neppure più ritrovata; ma nessuno sa dire, tra tutte
le persone che lo conoscono, se lui da ora in avanti potrà essere soltanto un
uomo completamente perduto, oppure se al contrario diverrà più che evidente in
lui un suo progressivo e costante miglioramento.
Bruno Magnolfi
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