mercoledì 4 maggio 2016

Al limite.

        

            Certe volte mi pare di non avere niente da dirti, fa lei; è come se ci fossimo già detti tutto, ed ogni parola adesso fosse soltanto una ripetizione scialba ed inutile di qualcos’altro. Poi sbuffa, muovendosi sopra i suoi tacchi dentro la stanza da ufficio spaziosa e ben illuminata, con i modi di chi ha solo voglia di andarsene in fretta da lì. Invece alla fine si siede, e con indifferenza apre a caso sopra le sue gambe accavallate la pagina di una rivista che trova su un piccolo tavolo. Lui non la guarda, forse è persino controproducente dirle qualcosa, perciò resta in silenzio, lasciando che l’aria ovattata là dentro sia quasi un rimedio per quei pensieri ingombranti. Così prosegue a consultare qualcosa sopra il piccolo schermo su di un lato della sua grande scrivania.
            Fuori da quello studio dell’agenzia di assicurazioni, ogni poco si sentono giungere in sottofondo delle telefonate alle quali due o tre impiegati cercano di far fronte, ed uno di loro ad un tratto bussa leggermente alla porta solo per avvertire da uno spiraglio che c’è in linea un certo dottor Sironi che chiede del direttore. Lui prende subito un incartamento, quindi alza il ricevitore, ascolta pazientemente alcune frasi gracchianti, poi risponde per cifre qualcosa di poco comprensibile, ed infine, una volta dettato un appuntamento per un giorno della settimana seguente, chiude formalmente la comunicazione. Forse si usano anche troppe parole, le dice adesso guardandola. Sono i nostri sentimenti che non riescono più ad emergere, né dai gesti né dai discorsi, e tutto in questo modo diviene ordinario, scontato, privo di qualsiasi interesse.
            Lei adesso si volta, lo guarda, sembra quasi punta sul vivo, come si sentisse improvvisamente prigioniera di un modo di comportarsi poco adeguato, ma poi gira nervosamente un’altra pagina di quel suo giornale forse insignificante, e prosegue a fingere attrazione per qualcosa scritto là sopra. Va bene, gli dice senza alzare lo sguardo; così hai già deciso, mi sembra. Poi lascia passare un solo secondo in cui forse attende una replica pronta, una parola immediata di chiarimento, magari un gesto veloce di semplice diniego, ma non arrivando da lui alcun segnale in quel breve lasso di tempo, si alza rapidamente con modo stizzito, sbatte quasi la rivista sul tavolo, e si gira decisa a raggiungere la porta ed andarsene.
Con perfetto tempismo a quel punto lui la chiama per nome, lei sui suoi tacchi si volta mostrando un’ espressione severa, e lui a bassa voce le dice soltanto: non è proprio tutto da gettare via; i periodi difficili si possono superare, se si tengono i nervi ben saldi. Lei si ferma, ha già una mano sulla maniglia, ma dall’altra parte dell'uscio sente bussare. Si affaccia appena un’impiegata, dice: scusate, ma ha ritelefonato Sironi e vuole un diverso appuntamento, perché per il giorno fissato ha già un impegno importante. Lui a quel punto si alza dalla sua scrivania, dice che tra cinque minuti lo richiamerà; poi, chiusa la porta accompagnandola con una mano, cerca di scusarsi con lei in qualche maniera: lo vedi anche tu, qui non si può proprio parlare, qualsiasi decisione così non può essere mai quella giusta.
Va bene, fa lei, abbassando lo sguardo: dentro ad un ingranaggio metallico qualsiasi cosa soffice rimane stritolata. Lui la guarda più da vicino restando colpito da quella frase. Forse vorrebbe quasi chiederle, per una semplice curiosità, se abbia letto qualcosa del genere sulla rivista che aveva fino ad ora tra le mani curate, ma si limita semplicemente ad annuire sorridendo. Lei pare intuire quel suo pensiero, cosi aggiunge subito: certe cose si trovano scritte proprio su quei giornali che voi uomini d'affari non sfogliereste neppure pagati. Eppure, tra quelle pagine spesso vuote di senso, certe volte si dicono anche cose sensate.


Bruno Magnolfi

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