venerdì 6 maggio 2016

Progetto sbagliato.

            
Potrei forse arrivare fino alla fine di tutta questa strada diritta e antipatica, se soltanto lo volessi: poi fermarmi davanti alla sua finestra e magari restarmene li, ad attendere gli eventi possibili. Lei, con ogni probabilità, ad un tratto si potrebbe affacciare, come per rendersi conto del tempo che fa, oppure se magari è più caldo o più freddo di quanto ha già immaginato. Senz’altro rimarrebbe stupita vedendomi, magari potrebbe abbozzare un sorriso, chissà. Invece io evito anche oggi di arrivare fino a quel punto, e mi fermo ad una distanza di almeno un buon centinaio di metri, restando lì un attimo appena, giusto il tempo che serve per immaginarmi qualcosa che probabilmente sa soltanto di consolatorio, anche se poi riflettendo mi lascia assaporare ancora una volta il gusto amaro del niente, perché alla fine, in questa maniera, non faccio altro nella realtà che allontanarmi da ogni mio vero proposito.
Rientro a casa, masticando qualcosa che adesso nella mia fantasia sembra almeno in parte compiuto, anche se non lo è; ma immaginare lei che magari in questo stesso momento resta ferma in casa sua ad attendere qualcosa che non sembra proprio arrivare, mi fa sentire comunque al di fuori dalla sintonia di questa giornata, come se soltanto per una mia colpa, niente fino ad ora fosse successo. Inizio così, come altre volte è capitato, a scrivere almeno una frase sopra un biglietto che in seguito quasi sicuramente potrei strappare, come tutti gli altri biglietti che ho cercato di mettere assieme nei giorni passati, per andare ad infilarli in qualche maniera tra la sua posta; messaggi che servono soltanto, almeno in parte, a scaricare il mio bisogno continuo di comunicazione con lei. Vorrei tanto vederti, le dico sul foglio; ma forse in fondo se ci penso non provo neppure tutto questo bisogno: mi basterebbe sapere, le scrivo, che certe volte ti affacci alla tua finestra, che scruti ogni tanto l’orizzonte che vedi da lì, per sincerarti se tra tutte le persone che stanno girando sul marciapiede di fronte, non ci possa per caso essere anch’io, perso in mezzo ad altre persone, proprio come uno qualsiasi, senza alcuna pretesa di essere notato da te per un qualche motivo.
Infine torno ad uscire di nuovo da casa, e ad incamminarmi verso la parte opposta da dove abiti tu: non posso lasciarti pensare che in tutti gli individui che incontro continuo a cercare di te. Perciò mi distraggo pensando che forse di persone come sei tu ne posso incrociare lungo le strade tante quante ne voglio. Due ragazze per esempio ridono tra loro mentre passo vicino a dove si trovano: forse qualcosa nel mio modo di camminare e di guardarmi attorno tradisce le mie aspettative, rifletto. Non ha alcuna importanza, penso dopo con calma; in fondo basterà soltanto far passare del tempo e tutto sarà presto dimenticato, come la tua finestra, sempre più piccola, lontana nei miei pensieri, fino a ridursi ad un piccolo punto in fondo alla città. Rientro, imbocco la strada che porta al mio appartamento, vicino al palazzo già tiro fuori le chiavi per aprire il portone, appallottolo in mano il biglietto che avevo preparato ben ripiegato dentro una tasca, e tu eccoti qui, che mi aspetti, come se ogni mio desiderio fosse diventato anche tuo, reciprocamente.

Bruno Magnolfi


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