Dentro
ognuno di noi, certe volte, c’è come un silenzio meraviglioso; si forma quasi
fosse un vuoto improvviso, una mancanza apparentemente incomprensibile, ma che
di colpo permette la nascita di pensieri liberi e puri. Non dura molto, dice
lui di fronte alla sua piccola platea di persone comuni, eppure quello è un
tempo già sufficiente a far nascere nuovi desideri, e ad infondere con
naturalezza la semplice volontà di essere diversi da come effettivamente noi siamo.
Si
muove leggermente, restando seduto da solo al tavolino sul palco, mentre
abbassa gli occhi sulle sue carte. Lo conoscono tutti là dentro, ma questo non
ha alcuna importanza. Lui riesce ad essere sempre diverso, ed a porre degli
interrogativi che suonano sempre come del tutto nuovi. Beve un po' d'acqua, si
schiarisce la voce, infine torna ad avvicinarsi al microfono. Dobbiamo cercare
di andare tutti nella medesima direzione, dice, se vogliamo ottenere qualcosa,
ma ciò non significa che ciascuno di noi nel corso di questa operazione debba
perdere obbligatoriamente la propria personalità. Qualcuno applaude sommessamente
ma con impegno dal fondo: il fatto che lui in questo modo dia ancora importanza
all'individuo, è apprezzato come un grande elemento di generosità, ed anche di
rispetto, proprio perché in quelle parole sostanzialmente si salvaguarda anche il
singolo, il pensiero personale, ed è forse questo un punto centrale nelle sue
conferenze.
Dalla terza
fila però un tizio si alza, sistema con calma il soprabito sul braccio, poi si
incammina per il corridoio, con l'evidente intento di andarsene. Lui si
interrompe, lo guarda, forse non riesce a comprendere un gesto del genere
proprio nell'attimo forse più pregnante della serata. Il silenzio che si crea
porta quell’uomo a girarsi, a dare un’ultima occhiata verso quel tavolino
illuminato, nello stesso esatto momento in cui lui gli chiede provocatoriamente
dal palco se per caso lo avesse annoiato. Il tizio si ferma, guarda qualcosa
tra le sue mani, poi dice sorridendo che non è questo il punto: mi aspettavo
qualcosa di diverso, spiega con voce forte e abbastanza chiara. Qualcuno alle
sue spalle subito mormora, e così gli viene chiesto che cosa di preciso doveva
essere differente, secondo lui.
Non ha alcuna
importanza il mio parere, dice tranquillo; tanto qua dentro, bene o male, stanno
tutti dalla stessa parte. Il fatto è che mi pare oggigiorno si vada ad ondate:
si inizia a dire e a comportarsi in un modo, e tutti paiono seguire come automi
quello stesso esatto modello. In questo schema personalmente non credo affatto,
e comunque è il contrario di ciò che si è detto, visto che il parere singolo non
risulta abbia ancora qualche possibilità di emergere: dobbiamo uniformarci,
questo è ciò che realmente viene richiesto, al contrario di ciò che subdolamente
viene spiegato, e spesso si cerca il collante di tutto più nella critica che
nell’apprezzamento.
Dal palco lui
sostiene subito che questo non è vero, che si portino esempi per mostrare
meglio una convinzione del genere, che si capisca, una buona volta, che la
gente ha sempre ragione quando inizia ad avere la medesima idea. Ma il tizio
con calma indossa il suo soprabito, fa un gesto tranquillo di saluto con una
mano, e poi riprende a guadagnare l’uscita, in silenzio, anche se ormai nella
sala regna soltanto un brusio alto e indistinto, che forse dovrebbe essere
cavalcato da chi tiene ancora in mano il microfono. Ma in quel momento qualcun
altro si alza, discute con voce più forte degli altri, e si perde in un attimo
quell’attenzione religiosa che c’era fino a qualche attimo prima, fino a che in
diversi, seguendo l’esempio, iniziano a spostarsi verso il fondo, per andarsene
via.
Bruno Magnolfi
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