Sto
nascosto, non posso fare altrimenti. Lo so che mi tengono d’occhio, che mi
scrutano di continuo mentre con apparente indifferenza transitano lungo il
corridoio, ma io spesso riesco a sfuggire ai loro controlli, e ad infilarmi
nell’angolo tra il muro e l’armadio, dove non possono certo vedermi, per poi
restarmene lì, anche per un tempo lungo, ed attendere con grande pazienza che
tutto si calmi. Devono lasciarmi stare, penso mentre rimango nel riparo che mi
sono inventato, perché io non cerco nessuno, non ho bisogno di alcuna persona
per evitare di mettermi di nuovo nei guai, o di combinare qualcosa che loro, chissà
mai perché, reputano subito di gravità enorme. Non ho più voglia di niente, ecco
il punto, se non di questo starmene solo, a ripensare con calma alle mie piccole
cose, e magari farmi venire qualche idea, nient'altro che questo.
Mi
chiamano per il solito colloquio settimanale. Rido, dico cose senza capo né
coda, mi va semplicemente di fare lo spiritoso, così rovescio un contenitore
con le penne e le matite sopra la scrivania del capo, proprio per vedere cosa mai
possa accadere, ma lui subito si arrabbia, dice che lo faccio apposta e che devo
stare buono con le mie mani, perché se lui vuole in cinque minuti mi può far
perdere la voglia di fare tanto il divertente che credo di essere. In seguito
chiede il motivo per cui dopo tutto questo tempo che sono là dentro continuo a
nascondermi, ma io anche se ci penso non riesco proprio, di fronte a lui, a trovare
una buona ragione per cui davvero mi comporto così. Però non posso certo
negargli, quando lui me lo chiede, di non sopportare più che qui tutti
controllino continuamente cosa mai io stia facendo, e che la mia giornata
spesso risulti pesante con gli occhi di questa gente sempre sopra di me. Allora
vorresti dagli altri una maggiore fiducia, fa subito il capo; che ti
lasciassero fare quello che ti va senza alcuna sorveglianza, e magari batterti
una mano sopra la spalla quando qualcuno di loro ti incontra nel corridoio.
Mi piacerebbe non essere qui, dico
io con sincerità, per rispondere usando lo sprezzo che provo alla sua
provocazione; ma soprattutto vorrei che mi lasciassero stare, ignorarmi del
tutto anche quando mi metto soltanto a pensare qualcosa dietro l'armadio, che
poi è il posto di gran lunga dove mi piace stare di più. Se me ne rimango in
quell’angolo, dico, ho le mie buone ragioni per farlo, non infastidisco
nessuno, non capisco perché devo rispondere alle domande che gli inservienti
continuano a pormi. Che cosa dovrei fare, mi chiedo, magari lasciarmi vedere da
tutti mentre vado in allegria insieme agli altri a perdere tempo nella sala
comune? Il capo scuote la testa, lo so che non l’ho certo convinto, lo vedo
persino dalla sua espressione scontenta, perché lui forse se lo immagina che quando
io rimango da solo, sono capace di progettare degli attentati per stendere
tutti e alla fine andarmene via senza voltarmi all’indietro. A nessuno però va
bene che davvero io vada via, perché loro mi vogliono qui, anche questo capo di
tutti, nonostante mi dica che se mi comporto come si deve ci posso facilmente riuscire;
lui e tutti gli altri vogliono soltanto che io stia qua dentro, continuamente
sotto controllo, come uno qualsiasi di quelli che girano in questo posto, e che
non hanno dentro la testa alcuna capacità per capire che cosa ci sia veramente da
fare.
Certe volte mi chiedo persino se tra
tutti quelli che restano in questo luogo da infami, qualcuno abbia coscienza di
essere soltanto la pedina di un meccanismo fatto apposta per mettere sotto sorveglianza
la gente come siamo noi altri, perché i nostri pensieri forse preoccupano i
capi, in quanto sfuggono ai disegni finali di tutti, ed allora la gente come me
va tenuta ben ferma, immobile, guardata a vista, e soprattutto vanno scrutati
continuamente i piccoli gesti che fa, in modo che non possa mai nuocere. Ma io
torno a nascondermi dietro l’armadio ogni volta che posso, è forse una mia
fissazione, ed una volta o quell’altra sono sicuro non riusciranno a trovarmi
neppure là dietro: sarò andato via, qualche volta, da un’altra parte, lontano
persino da quel mio angolo.
Bruno Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento