È molto tempo ormai che non esco dal
mio appartamento per arrivare fino a questo bar. D’altra parte non posso certo
continuare per sempre a trascorrere delle serate insulse guardando con la mia
famiglia qualche monotono programma che trasmettono in televisione. Così ho
farfugliato una qualsiasi scusa per tranquillizzare mia moglie e anche mio
figlio, e dopo via, come facevo praticamente ogni sera fino a qualche tempo
addietro. Gli strascichi del mio debito di gioco però non mi permettono in
questo momento alcuno scivolone, anche se sono sicuro potrei rimettermi
facilmente in carreggiata se solo un lieve pizzico di fortuna si mostrasse per
una sera almeno un po’ dalla mia parte. Comunque, dopo che sono appena riuscito
a restituire al Maghero tutto quello che ancora gli dovevo, ho deciso di
tornare qua soltanto per dare una minima occhiata in giro, giusto per sentire
cosa viene detto ultimamente nell’ambiente, quali sono gli argomenti forti
insomma, e forse salutare qualche vecchia conoscenza se è ancora in
circolazione, tanto per non dimostrare a tutti gli altri di essere ormai completamente sconfitto.
Così entro nel locale, mi guardo
genericamente attorno come ho sempre fatto, osservo con calma tutto ciò che
riesco a vedere tra i tavoli e le sedie, poi mi soffermo un attimo sulle facce
che ho davanti, le scruto anche negli angoli, anche se sembra proprio che
stasera non ci debba essere nessuno di quelli che qualche volta ho frequentato,
nonostante ciò non abbia adesso proprio alcuna importanza, visto che in fondo
ho deciso di limitarmi a bere soltanto un bicchierino o due, e poi forse
semplicemente seguire il gioco di qualcuno da dietro le sue spalle mentre porta
avanti la propria partita a carte nella saletta sul retro di questa stupida
bettola, dove eventualmente si può puntare anche qualche soldo. Mi invitano
subito al tavolo con gesti asciutti ed eloquenti, questo lo capisco, è anche
del tutto naturale, ma io rifiuto immediatamente con l’espressione di chi forse
si lascia troppo facilmente intimorire, mostrando le mani basse e un sorriso
quasi da incompetente, e subito dopo con la calma necessaria mi siedo da una
parte.
Tossisco un po’, probabilmente non
sono più abituato al fumo azzurro delle sigarette che si innalza svogliato
verso le lampadine gialle, ma osservo il gioco e subito so perfettamente cosa
farei se solo avessi in mano quelle carte che intravedo da dietro uno di loro.
Il cameriere mi tocca ad una spalla, forse mi ha riconosciuto, serve in giro
qualche grappa dal sapore secco, e ne dà una anche a me che però devo pagare
subito. Cerco i soldi nelle tasche, li appoggio sul vassoio, quello mi guarda
come fossero fasulli, poi gira i tacchi con espressione seria e se ne va. C’è
un’aria pesante qua dentro, qualcosa che non ricordavo affatto in questo modo,
ma non ha alcuna importanza, è il solito vecchio locale di sempre, mi dico, un
posto dove ogni sera si portano avanti delle strane commedie sopra questi
tavolini, lasciando ognuno di noi a immedesimarci al massimo nelle carte di
ogni mano, quelle che rimangono a lungo coperte, facendole decidere di dettarci
la fortuna oppure anche il naufragio: però tutto è così, se ci si pensa bene,
anche fuori da qua dentro; ed è esattamente come ogni attimo che fingiamo
sempre ci appartenga, senza invece conoscerne davvero e fino in fondo l’inafferrabile
destino.
Bruno Magnolfi
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