Il Torrini è tornato all’attacco. Mi
ha detto con indifferenza passando accanto alla mia scrivania: tra dieci minuti
vieni alle macchinette per il caffè; ed io naturalmente dopo dieci minuti
esatti mi sono proiettato in fondo al corridoio, come per prendermi qualcosa da
bere, mentre lì vicino c’era già lui. Non posso più aspettare i tuoi comodi, mi
ha detto sottovoce e quasi sorridendo per non destare alcun sospetto; devo
cedere il credito residuo con te ai soliti ragazzi, come ho sempre fatto con
tutti gli altri quando non pagavano i debiti, e a questo punto penso te la
vedrai con loro. Aspetta, gli ho detto, dammi tempo solo fino a venerdì, ti
prego: sono soltanto tre giorni, venerdì poi ti restituisco tutto quanto, non
dubitare. Lui ci ha pensato, ha inserito con calma una moneta dentro la fessura
della macchina, ha premuto il pulsante del caffè dolce aromatizzato al ginseng,
poi seriamente ha detto soltanto: va bene Corrado, voglio darti ancora fiducia,
ma quando uscirò da qui alle diciotto di venerdì, o ci saranno i contanti nella
mia tasca, oppure andrò direttamente da chi ti ho detto. Poi mi ha voltato le
spalle, ed ha ripercorso rapidamente il corridoio fino al suo ufficio.
Quando mi sono seduto alla mia
scrivania dopo appena qualche minuto, sulle prime ho pensato che avrei potuto
anche ucciderlo prima di venerdì, però ho scartato l’idea quasi subito: troppi
legami tra noi per non far ricadere velocemente le indagini e anche tutta la
colpa sopra di me. Allora mi sono grattato la testa, ho riflettuto il più a
lungo possibile su ciò che mi restava da fare, ed infine sono entrato dal mio
terminale nella memoria elettronica principale dell’istituto assicurativo, ed
ho cercato qualsiasi documento che il sistema mi restituiva sotto la voce
dottor Giovanni Baronti. Sono venute fuori diverse cose estremamente
interessanti, e così molto rapidamente le ho consultate, e poi altrettanto
velocemente ne ho stampate alcune più sostanziose di altre, preoccupandomi in
seguito di cancellare immediatamente le tracce elettroniche della mia ricerca.
Ho piegato i documenti nella mia borsa, mi sono trascritto in agenda soltanto
indirizzo e numero telefonico, poi ho proseguito con il mio lavoro, come
qualsiasi altro giorno.
A fine orario sono uscito dalla mia
azienda tra i primi, e a passo svelto sono arrivato fino davanti alla mia
abitazione, sono salito sulla macchina parcheggiata al solito posto, ho messo
in moto, e poi cercando di trovare la calma necessaria ho guidato fino a
quell’indirizzo. Davanti alla villa, all’interno del giardinetto, c’era la
grossa macchina targata esattamente come riportavano i documenti assicurativi,
così ho parcheggiato poco distante, sono sceso, sono arrivato fino davanti all’inferriata,
ed infine ho suonato il campanello, mostrando a me stesso tutto il coraggio per
farlo. Ho chiesto subito del dottor Giovanni a chi mi ha risposto, naturalmente
spiegando che ero il padre dell’amico di sua figlia Cinzia, poi sono entrato
con grande titubanza, con la testa confusa e i pensieri che vorticavano senza
riuscire a calmarsi. Lui era lì, sorridente, e così mi ha teso la mano, mi ha
invitato a sedermi in un salottino, ha chiesto subito con garbo se volessi
qualcosa da bere. Volevo conoscerla, ho detto frangendo un nodo che mi si era
formato dentro la gola. Così abbiamo parlato dei ragazzi, della loro indole,
vagamente del loro possibile futuro. Non potevo essere stato più fortunato di
così, ho pensato mentre tranquillamente lasciavo discorrere il Baronti della
sua figlia adorata.
Bruno Magnolfi
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