Sono stufo, dico a voce alta. Qui
non c'è mai niente che cambi, ci si comporta perennemente nella stessa maniera
di sempre, e si danno le colpe a qualcosa o qualcuno che non è neanche tra noi,
qualcuno che da lontano pare ci possa manovrare e che ci vuole esattamente così
come siamo. Non è in questo modo che riusciremo ad uscire da questo torpore,
proseguo. La colpa è solo nostra se siamo così, ecco quello che penso. Poi
spengo la registrazione, esco dalla mia piccola auto e mi dirigo a piedi verso
la piazza dove si apre il bar Soldini. Sono pronto per intervenire alla
riunione che si terrà questa sera sul tema: - prospettive per il futuro -,
nella sala più interna di questo locale. In diversi si sono iscritti a parlare,
ma anche io voglio dire la mia, e vorrei tanto riuscire a far comprendere ai
presenti tutte le nostre responsabilità.
Seduti sulle panchine ci sono i
soliti ragazzi che conosco, così mi avvicino camminando lentamente, come privo
di precise intenzioni, e cerco di ascoltare quello che dicono tanto per
comprendere meglio il clima che si respira. C’è una ragazza tra loro, quella
che lavora al negozio di merceria, e questa forse è l’unica novità che riesco
ad annotare. Tutti dicono che bisogna andarsene da questo paese, che qui non
c’è niente, ma la ragazza, Clara si chiama, non è per niente d’accordo, anche
se esprime sull’argomento giusto un paio di parole sottovoce e poi basta.
Ciao Tommaso, mi dice uno che
conosco meglio di altri, mentre mi fermo a due o tre metri dal gruppo. Immagino
tu sia qui per la riunione, mi fa. Certo, dico io, come anche voi, credo.
Qualcuno ride, uno si alza dalla panchina come per andarsene proprio, tutti mi
guardano con espressioni di scherno e di indifferenza. Non vogliono neppure
entrare, dice la ragazza senza guardarmi, con il suo tono basso di voce. Eppure
stasera si parlerà proprio di voi, di ciò che servirà nel futuro di questa
cittadina per darsi almeno una prospettiva.
Sono perplesso, i ragazzi mostrano
indifferenza, incredulità, rassegnazione, ma forse è soltanto una posa la loro,
una maniera per non prendersi mai delle vere responsabilità, per sputare su
tutto fingendo che tutto vada sempre nella stessa maniera, e che sia inutile
impegnarsi per una variazione di direzione. Clara non è d’accordo, ma invece di
dire con chiarezza le sue ragioni, assume un atteggiamento di tolleranza, come
se l’opinione disfattista di alcuni, equivalesse a quella costruttiva di altri.
Lascio i ragazzi ed entro nella
saletta del bar; alcuni hanno già preso posto, conosco due o tre persone, mi
guardano, mi inviano un saluto. Non voglio candidarmi a sindaco o cercare un
posto nella politica. Secondo me, anzi, la politica non c’entra proprio in
questa serata: si tratta di noi, di mostrare che ancora possiamo contare, che
non dobbiamo arrendersi ad un corso delle cose così disfattista. Possiamo avere
ragione del clima così negativo che sembra regnare tra noi cittadini: ma basta
con l’autolesionismo, non sarà mai questo a farci ancora sognare.
Bruno Magnolfi
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