Qualcuno dice che al mattino dopo la
sveglia si riesca a dare il meglio di se stessi: la mente è più fresca, le idee
maggiormente brillanti, c’è più entusiasmo per mandare avanti le cose. Ma io
preferisco senz’altro la luce calda del pomeriggio, quando la giornata si è
distesa ed oramai ha assunto un suo significato più definito, quando tutte le
cose attorno sono più mature per lasciarti decidere che cosa salvare di tutto
quello che ti sei ritrovato, e l’opinione che ne può scaturire è di fatto più
fluida, più naturale, più vera.
Non mi interesso mai dell’opinione
degli altri, generalmente resto ritirato dentro al mio guscio, come direbbero
tutti, così se posso evito addirittura di parlare, mi limito ad ascoltare gli
altri, e quando qualcuno si riferisce direttamente a me mi limito a sorridergli,
perché ritengo che la mia sia un’espressione naturale, che non ha mai fatto
male a nessuno. Lavoro con mio padre da diversi anni, agli inizi mi limitavo ad
osservare i suoi gesti e a passargli gli attrezzi di cui aveva bisogno. In
seguito tutto invece è diventato per me un’abitudine, ed adesso frequentemente
non ho neanche bisogno di pensare per portare avanti le attività che
affrontiamo. Mio padre mi ha detto tante volte che secondo il suo parere questo
non è il mestiere adatto per me, ma io non saprei fare nient’altro, non mi sono
mai interessato di altro, e della scuola quando ero ragazzo non me ne è mai
importato un bel niente. Aiuto mio padre, lo seguo in tutto, lascio comunque che
sia lui a sviluppare le cose, preparare i preventivi, decidere le soluzioni,
tenere i rapporti con i clienti. A me basta arrivare in qualche modo all’ora in
cui terminiamo, lavarmi le mani, cambiarmi la camicia, dimenticarmi completamente
del lavoro e di tutto ciò che comporta, per raggiungere in fretta gli altri
ragazzi davanti al bar Soldini.
Mi prendo una birra, mi siedo sopra
le assi delle solite panchine, scherzo con i ragazzi cancellando dalla mente
tutto quello del giorno che sopporto di meno. Non mi piace quando qualcuno si
mette a parlare del nostro futuro, come fosse qualcosa per cui sviluppare già
adesso chissà quale strategia. Non c’è futuro penso; soltanto qualcosa che
andrà avanti così, senza grandi sussulti, e con il minimo delle preoccupazioni
possibili. Mio padre dice che qualche volta dovrei pensare seriamente a farmi
una famiglia, ma a me sembrano tutte cose prive di qualsiasi interesse,
elementi forse ancorati alla vita delle generazioni passate, che adesso oramai non
fanno più sognare nessuno.
Certe volte davanti al bar Soldini
si parla delle ragazze, ma non è la stessa cosa: certo, si può andare con loro
in qualche locale, farsi una birra insieme e poi magari con una o con l’altra magari
può uscirne fuori qualcosa di più impegnativo. Ma il giorno seguente io torno a
lavorare con mio padre, e tutto è tranquillo, mia madre mi porta il caffè per
svegliarmi, ed il resto mi sembra lontano, forse da lasciar perdere subito, ed
anche se qualcuna delle ragazze mi telefona per sapere se può rivedermi, io mi
limito a sorridere alla cornetta. Può darsi, dico, ma non ce n’è uno stretto
bisogno; le cose possono capitare, ma qualche volta è anche bene evitarle.
Bruno Magnolfi
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