Durante
ogni giornata che trascorre monotona, oramai io mi sento come bloccato, anche
se proseguo in qualche modo a lasciar andare le cose per loro conto. Faccio
finta di stare tranquillo persino nel mio appartamento, o per strada quando
vado a comperarmi qualcosa, e di non avere mai alcun problema, anche se mi
chiedo ogni tanto quanto tempo ancora potrà mai andare avanti questa faccenda.
Perché dovrà pur finire, uno di questi giorni, non c’è proprio alcun dubbio;
non può proseguire ancora a lungo questa specie di angoscia, questo impegno che
ho preso in modo stupido e casuale con qualcuno che neppure conosco, mentre intanto
cerco di portare avanti come da programma questa sorveglianza notturna di un
luogo che appare quasi sempre deserto, senza neppure sapere quale sia il motivo
vero di questo mio impegno.
Guardo la televisione, e da lì il
governo del paese dice che tutti quanti dobbiamo stare tranquilli. Così mi
siedo al tavolino del bar sotto casa e mi lascio servire con calma un paio di
birre fresche. Poi arriva questo tizio che dice subito di conoscermi, per cui
parliamo per un po’ cercando nella memoria reciproca il motivo di
un'impressione del genere. Alla fine si siede, paga un nuovo giro di birre, ed
andiamo avanti a parlare di tutto e di niente. Buttiamo giù anche un paio di
panini, visto che ormai tra una cosa e l’altra è già trascorsa l’ora di cena,
ed ovviamente arrivano altre birre che ci scoliamo una dietro l'altra, senza
preoccuparci di niente.
Quando dico che devo andare a
lavorare, il tizio sembra sorpreso, poi mi fa delle domande a cui naturalmente
rispondo in maniera evasiva. Dico che ho la macchina posteggiata poco lontano,
e lui, quando infine usciamo dal bar, mi accompagna fino lì. Poi dice che
magari potrei dargli un passaggio, visto che anche lui deve andare nella zona
dello stadio di calcio, ed io gli dico di salire, non ci sono problemi. Quando
arriviamo accanto allo stadio spiego a questo nuovo amico che il mio mestiere
consiste nel controllare durante la notte tutto quanto il parcheggio fuori dalla
recinzione del campo sportivo, segnalando qualsiasi faccenda insolita riesca a
registrare. “Con il binocolo osservo tutti i movimenti”, gli dico, “ e sopra un
foglio prendo nota delle targhe di auto, di furgoni e di quanto passa da queste
parti con fare sospetto.
Lui sembra un po’ indifferente
alle mie cose, poi scende dall’auto, si guarda attorno, spiega in due parole
che non ha un vero posto dove andare in questa città. “Ti puoi mettere sul
sedile posteriore a dormire”, gli dico; “per me va tutto bene, basta tu stia
coricato e non ti faccia vedere”. Fa cenno di si, che accetta l’invito insomma,
però vuole farsi un giro a piedi prima di allora, per cui si allontana con
calma spiegandomi che tornerà tra mezz’ora, non certo più tardi. Va via, ed io
mi metto nella solita posizione di qualsiasi altra notte, a controllare tutto
lo spazio che c’è davanti al mio parabrezza. Tutto regolare, mi dico, non ci
sono problemi. Ma ad un tratto arriva di corsa il tizio di prima, dice in
fretta salendo sulla mia auto che dobbiamo subito andarcene, non c’è un minuto
da perdere. Di fatto vedo in fondo al piazzale diverse macchine che stanno
manovrando, come per fare qualcosa. Così metto in moto, ingrano la marcia, e a
fari spenti mi allontano lentamente ma di parecchio, pur restando all’interno
di questo parcheggio.
Poi sparano, si sentono
chiarissimi dei colpi di arma da fuoco, così mi allontano ancora di più, e alla
fine invio un messaggio ai miei capi dove spiego la situazione che si è andata
manifestando. Il mio amico nel buio si è già piazzato sul sedile di dietro a dormire,
e dice che adesso secondo lui va tutto bene, non c’è minimamente da
preoccuparsi. Non so davvero cosa pensare, non ho più neppure la voglia di
stare ancora da queste parti, ma infine anche io mi metto tranquillo:
l’importante è non preoccuparsi, decido; il resto andrà avanti anche da solo.
Bruno Magnolfi
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