Certe notti sembrano più
lunghe delle altre. Tengo spenti i fari della mia macchina, e sonnecchio per
quasi dieci minuti mentre sto di fronte alla distesa asfaltata del parcheggio
vuoto che devo sorvegliare. Mi vengono in mente i pensieri più strani in queste
occasioni: ho la pistola carica nel vano del cruscotto, mi sento il padrone
incontrastato di questo posto; se si avvicina qualcuno posso persino fargli
cenno di andarsene rapidamente, perché non ci voglio proprio nessuno da queste
parti. Non voglio nessuno a darsi appuntamento proprio qui, per progettare
chissà quali attentati, chissà quali nefandezze ai danni di cose o persone che
magari non ne sanno niente di queste guerre intestine lungo le vie principali
del malaffare e del crimine terroristico.
Perché di questo si
tratta, almeno credo: sono pagato per contrastare i piccoli gruppi di invasati
che pensano di poter innescare dei moti rivoluzionari all’insaputa di tutti gli
altri. Per questo vengo mandato qui ogni notte, ad osservare tutti i movimenti
sospetti che ci possono essere intorno al grande stadio cittadino del calcio.
Perché ci può essere sempre qualcuno che odia cose come lo sport o il gioco del
pallone, e vorrebbe far partire proprio da qui chissà quali attentati
dimostrativi ai danni di tutti quanti noi. Ed io scruto le tenebre, dentro la
mia macchina grigia che non si fa neanche notare, a fari spenti, con la mia
coperta per il freddo sulle gambe, il binocolo sempre pronto per vedere bene i
movimenti di tutti; osservo la realtà, quella più vera, più cruda, più
evidente, e poi se è il caso invio subito la mia segnalazione.
Il freddo però si fa
sentire in queste notti, e mi riporta velocemente alla realtà del mio starmene
qui senza fare quasi niente. Accendo il motore, lo lascio girare per un po’,
quindi torno ad azionare la ventola del riscaldamento. C'è una coppietta dentro
una macchina, si sono fermati piuttosto lontani da me, all'imbocco del
parcheggio, ma posso tollerare la loro presenza penso, in fondo non fanno del
male proprio a nessuno. Però i miei capi hanno spiegato bene come non si debba
mai perdere di vista nessuno in questa larga spianata, perché una debolezza del
genere potrebbe essere quella fatale, quella che apre le porte a chissà quali
conseguenze.
Perciò ingrano la
marcia, mi avvicino lentamente alla coppietta, inforco gli occhiali scuri per
non farmi riconoscere, e tenendo una potente
lampada portatile diritta su di loro, dico senza
mezzi termini che adesso devono togliere le tende. Passa una attimo, quelli parlano
subito tra loro, e quindi se ne vanno, i loro
interessi sono scemati in fretta penso, non ho avuto bisogno di aggiungere
nient’altro. Sono contento, la mia autorità è riconosciuta in casi come
questo.
Poi vado a compiere un largo giro
del parcheggio, controllo per bene ogni angolo nascosto, ma non c’è niente di
insolito in questo momento, posso rimettermi fermo da qualche parte, con la
radio a volume molto basso, e la mia coperta per ripararmi da questo freddo
cane. Con gli sportelli chiusi da dentro posso persino sonnecchiare: in fondo
ho sempre la pistola con me, ci vuole un attimo a difendermi nel caso che a
qualcuno venisse in mente di rompermi le scatole. Questo è il mio parcheggio
penso, ed è anche il mio posto di lavoro: non potrò mai essere un pericolo per
voi se ve ne girate al largo da questa zona. La notte scorre lenta, sembra non
voglia mai succedere un bel niente. E forse è meglio così, per tutti quanti.
Bruno Magnolfi
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