Ho dormito nel mio
letto per tutta la mattinata. Con il lavoro che svolgo non posso certo fare
altrimenti: ogni notte nella mia macchina sono impegnato a controllare un
parcheggio quasi sempre deserto, illuminato soltanto dai lampioni. Adesso
comunque scendo sotto casa per comperarmi qualcosa da mangiare, poi mentre
butto giù qualcosa, ascolterò alla radio le ultime notizie, giusto per sapere
se è capitato qualcosa in città in queste ultime ore.
Ha iniziato da ieri a
ronzarmi nella testa un tarlo che non riesco più a togliere di mezzo: in questi
pochi mesi, cioè da quando lavoro per la sicurezza, presso il parcheggio dello
stadio di calcio cittadino, non è accaduto proprio niente di particolare nella
zona, ed alla fine mi sono limitato in tutte queste notti passate, come
richiesto dai miei capi, a segnalare giusto qualche automobile sospetta della
quale poi non ho più saputo nulla, neppure dalle notizie giornalistiche di
cronaca della città. In sostanza io mi devo limitare ad osservare il panorama, e
quando proprio si presenta il caso, inviare un messaggio con il cellulare ad un
certo numero che mi è stato indicato, e dopo basta, non mi è richiesto altro,
se non evitare di mettere in campo qualsiasi ulteriore attività.
Adesso, a lungo andare, mi sembrano soltanto delle sciocchezze
quelle che compio. Sono chiamato ad occuparmi di qualcosa che praticamente non
ha alcun senso. I miei capi non si sono mai fatti vedere da me, si limitano ad usare
un certo numero telefonico, ed inviarmi un messaggio generico ogni tanto, e
dopo basta. Ed i soldi che mi versano regolarmente in banca ogni mese non
capisco più in funzione di quale compenso corrispondono. Non mi pare che chi
complotta contro lo stato, oppure contro le autorità cittadine, possa vagare di
notte in un parcheggio dello stadio di calcio a programmare delle azioni
dimostrative. Perciò ho sempre più l'impressione di essere preso in mezzo ad un
meccanismo di cui ignoro del tutto il funzionamento.
Non devo parlare con nessuno delle mie attività,
questo mi è stato detto subito, però l’altra sera ho trovato un tizio veramente
a posto, dentro il bar dove mi reco al tardo pomeriggio, e dopo aver bevuto e parlato
di cose generiche, gli ho spifferato la mia situazione per sentire dalla sua
voce che cosa ne pensasse. Ma lui si è limitato a dirmi che non era il caso che
io mi preoccupassi troppo: “vai avanti con tutto quello che ti hanno chiesto di
fare”, mi ha detto; “e disinteressati per quanto ti è possibile di tutto il
resto. In fondo vieni pagato anche per questo, per tenerti tutto quanto dentro
di te, perché in questi casi sono sempre i curiosi e i chiacchieroni che ci
rimettono qualcosa”. Ho sorriso; certo, questo tizio ha ragione da vendere, ho
pensato. Perché dovrei preoccuparmi d’altro, visto che le cose vanno avanti bene,
senza tanti scossoni.
Poi, questa mattina, mi è arrivato un messaggio
sopra al cellulare da quel numero segreto con cui i miei capi comunicano con
me, ed in poche parole mi si ricordava di non parlare con nessuno dei miei
compiti e di quanto stavo portando avanti ogni notte al parcheggio dello stadio.
Così ho iniziato a capire che forse anche io stesso sono strettamente controllato,
e molto più di quanto potessi mai immaginare, tanto che questa cosa ha iniziato
subito a farmi un po’ paura. Ho una pistola nella macchina: posso difendermi.
Però non so da chi. Mi sento sempre più da solo, e se fino ad un attimo fa mi
pareva di lavorare per la sicurezza di tutti i cittadini, adesso mi pare di
essere stato assoldato da qualcuno che assolutamente non ha scrupoli. Devo
andare avanti, non ho scelta, ma da adesso in poi dovrò essere più attento a
quanto mi circonda.
Bruno Magnolfi
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