Loro lo guardano con insistenza, più che altro per
rendersi conto se sia davvero capace di fare improvvisamente qualcosa di strano
proprio da un attimo all’altro, esattamente come si aspettano tutti. Invece in
questa
manciata di minuti non accade un bel niente, anche se lui prosegue a stare
fermo in un angolo e poi sembra riflettere qualcosa di importante, come se in
questo frangente non ci fosse altro da fare, oppure se quel suo semplice
riflettere fosse già largamente sufficiente a mostrare tutto il suo impegno a
passare per uno come tutti i presenti. Qualcuno intorno parla sottovoce, dice
che forse non ci sarà da aspettarsi niente di buono, ma l’aria di chi si è
rintanato là dentro sembra tranquilla, nessuno pare abbia voglia di rompere
quell’atmosfera di sospensione che aleggia nella grande sala d’attesa. Allora
lui compie un gesto, un'azione forse un po’
ambigua, allunga un braccio come per indicare un punto, una zona, una parte
verso cui guardare, ma chi si volta seguendo quel segno della mano nell’aria,
non vede proprio niente, non rileva nulla che possa mostrare un senso definito.
Lui quindi si alza, procede piano verso la spessa vetrata, osserva la realtà
che si snoda fuori da lì, come se ci fosse qualcosa di cui prendere nota.
“Oramai stiamo tutti qua dentro”, dice qualcuno a voce
più alta per mostrare agli altri quel pietismo che, secondo colui che sta
parlando, forse conviene assumere quando ci si rende conto che tutto il resto
non ha più molta importanza. “Non è vero”, dice lui all’improvviso; “qualcosa di
noi è rimasto là fuori, ed anche se lo ignoriamo possiede comunque una valenza
innegabile”. Si muove dalla sua posizione, e con un solo sguardo accoglie tutti
i presenti dentro la sua prospettiva, poi torna ad indicare qualcosa, oltre
quel vetro che sembra dividere un mondo dall’altro, forse solamente un punto o
una macchia sul muro di fronte, di là dal chiuso di quella sala dove adesso si
sono radunati, e che secondo il suo parere conserva un dato importante, come un
fregio che indichi quello che potrebbe essere stato, qualche tempo addietro, o
forse quello che potrà essere, magari tra non molto. Nessuno però sembra abbia
più voglia di dargli davvero retta: alcuni alzano addirittura le spalle in un
gesto che è come per togliere di mezzo quell’importanza
che fino ad un attimo prima gli avevano concesso, ma a lui sembra non importare
per niente, tanto che dopo un secondo torna a sedersi, ed a lasciare agli altri
la possibilità di guardarlo di nuovo, sempre che ne abbiano ancora la voglia,
seppure magari con meno insistenza.
Il
suo vicino di posto dice con voce volutamente bassa che non c’è niente sul
muro, che nessun segno sembra sia rimasto ad indicare qualcosa di importante.
“Vi sbagliate”, fa lui di getto. “C’è una macchia, una semplice chiazza che
pare muoversi. E’ viva, probabilmente, è qualcosa che non saremo mai in grado
di afferrare e comprendere, ma mostra con semplicità la statura di quello che
siamo ormai diventati: dei piccoli esseri, uomini e donne sgraziati, senza
criterio, quasi incapaci di ragionamenti più alti”. Intorno ammutoliscono
tutti. La contrapposizione tenuta in vita fino a questo momento tra lui e loro
sembra improvvisamente annullarsi: ognuno dei presenti adesso guarda quel muro,
forse nota davvero la macchia estesa che effettivamente sembra muoversi, che
produca gli effetti suggeriti, e mostra quanto sia difficile dare tutto per
scontato, credere di essere giunti ad una fase senza più variazioni. “Dobbiamo
cambiare opinione su tutto”, dice qualcuno; “se appena consideriamo questo
aspetto indicato come qualcosa di vero”. Poi tutti si stringono nelle spalle,
ognuno per conto proprio. Nessuno alla fine sembra ancora prendere in
considerazione quello che lui ha fatto presente. Anche se forse ha pienamente
ragione.
Bruno
Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento