Soltanto con un certo ritardo sull’appuntamento
precedentemente pattuito lei finalmente si siede davanti al suo elaboratore
casalingo e lancia l’applicazione per la comunicazione interpersonale.
Naturalmente si è momentaneamente scordata i codici d’accesso dei programmi da
usare, e quindi ci vuole anche altro tempo affinché tutto sia messo
perfettamente in funzione, almeno fino al punto di lasciarle scegliere persino uno
sfondo adeguato da far apparire sugli schermi degli altri, tale che nasconda le
condizioni vere di disordine in cui lei normalmente è immersa anche quando
comunica, ferme restando le sue espressioni facciali sempre in primo piano ma
affidate ad una specie di sosia composto da un numero imprecisato di disegni
sintetici molto somiglianti all’originale,
ed impostato in maniera da mimare piuttosto bene i suoi rispettivi stati d’animo.
“Ciao”, le dice lui mentre già sta intrattenendo una vivace discussione con
l’altro che a sua volta prosegue ad affidare a dei colori pastello alcuni
sfondi panoramici che ogni pochi secondi svaniscono e vengono immediatamente
sostituiti. “Immaginavo non riuscissi a raggiungerci”, fa subito dopo con una
voce camuffata da vecchio lettore di racconti per l’infanzia, mentre la sua
faccia campeggia su un immenso campo agricolo appena lavorato dalle macchine.
“Mi spiace”, fa lei; “ma sono piuttosto impegnata in questo periodo”.
Seguono rapidi e
numerosi scambi di vedute da parte di tutt’e tre sui vari modelli lavorativi da
applicare nel prossimo futuro, e le loro opinioni non tendono per nulla a
convergere, restando semplicemente impostate sui loro iniziali pensieri di
fondo. “Ci stavamo chiedendo quali progressi ci stiano aiutando in questo
momento per superare il formidabile richiamo ad usare sempre più spesso i
processi mentali a cui individualmente tendiamo ad abituarci, ma sotto questo profilo sembra che non ce ne siano, tolta
la volontà egocentrica che almeno qualcuno tra noi tende a manifestare, di
scombinare ogni gioco”, fa lui lasciando brillare il proprio sfondo monotono
con macchie evanescenti di color oro sul nero, ferma restando la sua coerente
espressione ridotta in un piccolo spazio basso nell’angolo destro. L’altro pare
riflettere senza mostrare alcun tentativo per intervenire, ed anche lei non
sembra di voler prendere la parola nel suo vivavoce applicato all’orecchio, ma
si perde almeno per qualche secondo nella ricerca di un senso da dare
all’immagine di un bosco verde ripreso per mezzo
di un’ottica aerea mobile che ha impostato da
due o tre minuti sopra al suo schermo. La
pausa si protrae per un tempo apprezzabile, quasi una lungaggine senza
importanza, fino a quando un lieve armonia di sintesi
parte automaticamente dal sistema di comunicazione.
“Non sono del tutto
d’accordo”, fa lui forse soltanto per interrompere quella musica insignificante
che pare fatta apposta per addormentare i pensieri. “Tolta la spinta personale
a trovare nuove strade in tutto ciò che completa ogni nostra abitudine, non
vedo altre possibilità per opporre ulteriori sbarramenti ad un discesa
inarrestabile del quoziente intellettivo”. Lei dopo queste parole ha uno
scatto, una specie di dissenso da quello che ha appena ascoltato nel proprio
vivavoce, così preme immediatamente il pulsante per intervenire, ma qualcosa di
elettronico sembra inibire il flusso della sua necessità, tanto da lasciare il
suo interfono assolutamente silenzioso, come se fosse d’accordo su tutto quello
che è stato appena dichiarato. Pigia più volte e nervosamente il tasto del
sezionatore, senza ottenere però alcun risultato, fino a quando fortunatamente
uno dei due suoi interlocutori non apre il suo corridoio comunicativo,
chiedendosi contemporaneamente il motivo di tanto silenzio.
Bruno Magnolfi
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