“La politica non mi ha mai interessato”, dice lui d’improvviso
con un’espressione stentorea nel vivavoce senza filo che indossa sopra un lato
della propria faccia. Lo sfondo dello schermo dell’elaboratore che ha davanti sta
trasmettendo una fluttuazione tra dei colori che ricordano ironicamente le onde
del mare, pur essendo solamente delle simulazioni sintetiche, mentre all’interno di queste variazioni di colore giganteggia la
sua immagine ritoccata e sovraesposta, come se lui in questo momento stesse godendo di un pieno sole tropicale, evidenziando nell’espressione anche una vaga aria sonnacchiosa tipica
di chi cerca un dialogo senza trovare le parole giuste da adoperare. Forse non è neppure quello che effettivamente
vuole intendere quando usa una frase di questo genere, riflette mentre tenta un
cambiamento dei colori nella scenografia elettronica, però tende a sfilarsi
dalla schiera degli incalliti che vorrebbero ridurre ogni tendenza popolare ad
una macchinazione elaborata a tavolino, ed in questo modo dimostrare la
mancanza completa di libertà del sistema. L’altro,
un suo vicino di casa in termini di distanza assoluta, eppure forse piuttosto
lontano dal punto di vista delle identità di vedute, sembra riflettere a fondo
mentre osserva qualcosa fuori campo, inquadrato dall’ottica del suo elaboratore
in un momento in cui sembra sfogliare con lo sguardo un libro mentale che
dovrebbe suggerirgli probabilmente i termini più adatti, ma finendo soltanto
per rispondere: “non è un argomento, oppure una semplice materia però”, mentre
lancia a margine, sulla sua macchina elettronica, alcune immagini in rigoroso
bianco e nero di svariati gruppi di persone in movimento.
Lui
allora si alza dalla propria postazione comunicativa, lanciando sullo schermo
una programmata sequenza iterativa composta da vari spezzoni di riprese
digitali di se stesso tutte effettuate negli ultimi tempi, quasi a voler
sostituire la sua assenza con qualcosa che ne colmasse momentaneamente il
vuoto, dando l’impressione di una certa linearità di intenti e di idee nei suoi
comportamenti, quasi una coerenza effettiva da ritrovare nei gesti, nelle
espressioni, nei vari movimenti del corpo all’interno dello spazio che ha avuto
attorno a sé in tutti quei casi, e per prosecuzione quindi anche in questo
esatto momento. Il dialogo appare quasi inceppato, praticamente incapace di
produrre frutti, e nel momento esatto in cui lui torna a presidiare la propria
area interagente con l’esterno, è pronto ormai a digitare lo sviluppo seguente
del proprio pensiero, anche se gli restano dei dubbi sulla sua effettiva
capacità di sostenere delle teorie talmente individualistiche da non lasciare
alcuna possibilità di vera discussione. “Forse sbagliando”, conclude come per
recuperare un tema dal quale non ha mai avuto l’intenzione di prendere davvero
le distanze.
“Proprio adesso è il momento
migliore per cercare delle intese”, scrive l’altro in fretta sullo schermo,
imprimendo questa frase su di un lato del proprio spazio comunicativo, mentre
la sua immagine da mezzobusto si fa lentamente sfumata in un contorno di città
preda di macchine e motori, e del traffico caotico tipico del tempo appena
trascorso, degno di una ipotetica rivoluzione industriale attualizzata. Il
pensiero così si fa magmatico, e l’allentarsi delle risoluzioni a cui dar
seguito quasi delle semplici masse di aria calda in movimento senza possibilità
di essere imprigionate da concetti metabolizzati degni dei congressi di
partito. “La vicinanza dei concetti diventa una vera e propria forza, anche se
non può essere certo lo scopo finale”, conclude l’altro allontanandosi di colpo
dal piano su cui interagisce tramite l’elaboratore. “Sono d’accordo”, fa subito
lui mostrando adesso un gioco di bambini per evidenziare la soddisfazione con
la quale sembra ritrovare il filo dei pensieri.
Bruno Magnolfi
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