"Immagina di essere
qui, adesso, nel tuo caro studio circondato dai libri; intere pareti di
scaffali pieni zeppi di volumi di qualsiasi genere, da leggere e da consultare,
disposti sui piani per semplice analogia, o per similitudine, ma mai in modo
del tutto casuale". “Non mi stimola in questo momento”, risponde lui nel vivavoce.
“Piuttosto, per esatto contrario, vorrei disinteressarmi una buona volta di
qualcosa che mi trovo a riflettere spesso, e qualche volta si presenta nella
mia mente come una vera ossessione”. Segue una lunga pausa durante la quale
nessuno dei due sembra trovare la parola giusta da dire, come se
quell’espressione che stanno cercando non esistesse, o se nessuna tra le frasi
pensate fosse esattamente quella maggiormente adeguata. L’altro seleziona in
fretta qualcosa sul suo elaboratore, così cambia per evanescenza l’immagine di
fondo, lasciando apparire sullo schermo una
panoramica statica del deserto dell’Arizona in pieno giorno. “Va bene”, fa lui,
“ho compreso perfettamente il messaggio; però devo ammettere che sei un osso
duro, e che non lasci facilmente la presa”. L’altro fa una leggera risata, poi
si alza dallo sgabello ergonomico e per una manciata di secondi si avvertono
solamente dei piccoli rumori fuori campo, per niente adatti a quanto resta inquadrato.
“Purtroppo le ore della giornata appaiono sempre più lunghe, e riempirle con elementi di
vero interesse è sempre più complicato”, fa lui. “Vorrei spesso avere talmente
tante cose da fare da dimenticare che possiedo anche un apparato pronto a
pensare in maniera autonoma, appena si presenta uno dei vuoti occasionali”. Riappare l’altro bevendo qualcosa da una tazza dai
colori tenui, torna a sistemarsi seduto, poi senza fretta gli chiede quale sia
il pensiero ossessivo a cui accennava soltanto poco fa. Ma prima che lui parli
sottolinea come tutti abbiamo delle riflessioni ricorrenti che forse non
servono a nulla, ma che si installano autonomamente nel nostro cervello e
sembrano voler accompagnare con la loro presenza parecchi momenti del giorno, e
in certi casi persino della notte.
“Ultimamente mi sono fissato di vedere la
polvere depositarsi dappertutto, ad esempio, e che questa tematica che tento di
risolvere, sia assolutamente una lotta impari, dove non riesco mai ad avere la
meglio”. “No, no”, fa lui scuotendo la testa in un campo azzurrino composto da
un mosaico di piccoli elementi tutti simili. “Per me è completamente diverso. Si tratta del mio sangue che sento scorrere per
vibrazione dappertutto nel corpo, e quando non ho impegni impellenti sembra
rallentare il suo corso, fino a smettere del tutto il suo moto”.
“Cioè: devi sentirti
impegnato per evitare di spegnerti”, fa l’altro mentre sorseggia dalla tazza.
“Esatto”, fa lui. “Come dovessi cadere inevitabilmente in una specie di letargo,
se non trovo rapidamente
qualcosa da fare o di cui occuparmi”. L’altro
volta gli occhi verso un lato dello schermo, che intanto ha mutato colore
virando verso un indefinibile grigio neutrale di fondo. “Non c’è alcuna soluzione
ad un problema del genere, è evidente”, pensa mentre osserva la tastiera che
tiene di fronte, “e qualsiasi sensore puoi farti impiantare sotto pelle per il
rilevamento di un pericolo del genere, non darebbe mai nessun risultato
apprezzabile”. Perciò resta in silenzio lasciando scorrere più volte alcune
variabili di tonalità dell’immagine che tende a rappresentare il suo stato
d’animo, incapace in ogni caso di trovarne una che sia più definitiva di altre. “Sono le solite sequenze irrisolvibili”, dice poi
nel suo vivavoce. Quindi con la mano toglie lentamente qualcosa di sporco dal
piano del tavolo di fronte a sé, ed infine immobilizza la sua immagine sullo
schermo, lanciando semplicemente il ripetersi di un
saluto formale.
Bruno Magnolfi
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