Nel condominio la
conoscono tutti. Una ragazza timida in apparenza, ma che sa nascondere, almeno così
dicono alcuni, una personalità contorta, poco comprensibile, certe volte
sfuggente. Lungo le scale, quando scende dal suo appartamento, tiene lo sguardo
basso, raggiunge rapidamente l’uscita e poi, senza mai indugiare, se ne va
lungo la strada, evitando di intrattenersi a parlare con qualcuno del vicinato
che magari la conosce da sempre e la saluta con enfasi ogni volta che lei
attraversa la soglia del portone perennemente spalancato. “Ciao Silvia”, dice
qualche volta con voce profonda al suo passaggio anche un amico della sua
infanzia che lei conosce da sempre ma non ha mai frequentato, e Silvia accenna
un sorriso e poi basta, proseguendo con decisione per il luogo verso cui è
diretta, senza tentennamenti, come se ogni distrazione fosse soltanto una perdita
di tempo. Non le piacciono le persone che si fermano là, sul marciapiede, a
parlare per ore del più o del meno, a malignare su coloro che conoscono, a dare giudizi su tutti quelli che capitano da
quelle parti. La ritiene una proibizione di
libertà quel loro guardare anche verso di lei
con insistenza, e poi spiccicare sottovoce aggettivi più o meno appropriati,
per sentenziare i loro pensieri come fossero frutto di grande saggezza.
Poi dimentica tutto e raggiunge
rapidamente la fermata del bus, ne attende l’arrivo e si lascia portare
generalmente fino al capolinea, in quella strada dove risiede suo padre, in una
piccola casa da solo, separato com’è costretto a vivere da quasi vent’anni, ed
ultimamente preda di un profondo stato di depressione che spesso lo lascia per
intere giornate privo di qualsiasi volontà, abbandonato privo di forze sopra
una sedia, senza fare niente né vedere nessuno, se non appunto sua figlia, che
gli porta se può qualche novità, e che lo sprona ad uscire, a prendersi cura di
sé, a curare in qualche maniera quel suo disagio. La mamma non ne vuole sentir
parlare di lui, ritiene di aver sbagliato tutto a sposarsi quando era giovane,
e l’unica cosa di cui non si pente è quella di aver avuto una figlia, a suo
parere perfetta, anche se forse un po’ troppo ombrosa. Per Silvia vivere con
sua madre non è stata una scelta, ed appena le sarà possibile sa che andrà via
da quell’appartamento immerso in un condominio che sente così freddo e distante.
Poi però rientra a casa ogni volta e subisce quella quotidianità quasi in
silenzio, senza mai affrontarla davvero, lasciando che tutte le cose scorrano
il più possibile senza mettersi mai di traverso.
Ma stasera incontra sul bus quel medesimo
ragazzo che conosce da sempre, lo stesso che a volte la saluta, e lui si
avvicina subito a Silvia con dei modi cortesi, pacati, quasi gentili, anche se
poi resta in silenzio accanto a lei, quasi intimidito, praticamente senza
chiederle niente, come provando la sottile paura di recarle qualche disturbo.
Lei, mentre stanno ambedue in piedi come molti altri passeggeri, osserva le
mani di lui aggrappate ai sostegni di quel mezzo pubblico, ed improvvisamente
le appaiono calde, belle, sicuramente forti quando serve, ma adesso dolci, morbide,
quasi da stringere. Neppure lei ha voglia di parlare, ma adesso prova piacere nello
starsene lì insieme a quel ragazzo, ed alla fine loro due rimangono in questa
maniera per tutto il viaggio, fino a quando non scendono, giunti ormai nel loro
quartiere, per prendere a piedi con passo calmo quell’ultimo piccolo pezzo di
strada necessario per tornarsene a casa. Silvia gli dice senza mezzi termini che
non le piacciono quelle persone che stazionano sempre davanti al portone a
parlare con tutti, ed il ragazzo le sorride per questo, comprendendo appieno il
suo punto di vista, e forse ricambiando in parte quel suo sentimento. “Ma non
stasera”, le dice difatti in un soffio; e quando sono ormai vicini al loro
condominio, lui dolcemente le prende la mano, ed attraversando la soglia del
solito portone, nessuno tra tutti quelli che sostano là anche stasera si prende
la briga di dire loro qualcosa, nemmeno una semplice, sola parola.
Bruno Magnolfi
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