La signora Celeste mi fa pena. Non
so cos’altro pensare. Lei vive per la sua famiglia, e la sua famiglia si sta
sgretolando. Viene da me e mi fa: <<signora Marcella, sono
alcolizzata>>. <<Ma che dice>>, fo io; <<si sieda un
momento, si spieghi meglio>>. Così inizia a piangere, e in dieci minuti
mi dice tutto. Che ha iniziato a bere per sopportare la situazione. E che
adesso la situazione è persino peggiorata, e lei non riesce più a smettere.
<<Deve andare da qualcuno che sappia aiutarla>>, fo io.
<<Forse, gli alcolisti anonimi>>. Poi penso che la sua vera cura
non sia esattamente quella. <<Ne parli con suo marito>>, le dico
subito dopo. Lei mi guarda, poi dice: <<lui ha già capito ogni cosa, ma
non muove un dito. È questa la cosa peggiore>>. Preparo un caffè, la
signora Celeste si schernisce, non vuol dare disturbo. <<Mio marito e
miei figli sono degli estranei>>, mi fa. <<In casa non riusciamo
più a comunicare tra noi>>. Non so che dirle, la guardo e credo che forse
sia soltanto troppo fragile. Troppo sensibile. Che se la prenda troppo per
qualsiasi piccolezza. Quando torna nel suo appartamento mi pare sia più
sollevata. Almeno per aver confessato a qualcuno che beve. Dovrebbe trovare un
interesse a cui dedicarsi, rifletto. Magari un’associazione di volontariato
dove sentirsi impegnata. Non lo so, suo marito senz’altro è una persona inerte.
E anche i suoi figli non sembrano troppo sereni. Per questo lei dovrebbe
trovarsi un interesse fuori da casa. Ma poi non lo so, perché tutte noi siamo
soggette a delle pressioni. E non sappiamo mai come regolarci.
Più tardi busso alla porta,
<<signora Celeste>>, dico senza alzare la voce, <<le ho
riportato il tegame>>. Lei apre. <<Sono da sola>>, mi fa.
<<Entri pure, signora Marcella>>. Così ci mettiamo sedute in cucina,
e ci guardiamo, ma senza insistenza. <<Non ho ancora deciso
nulla>>, mi spiega lei. <<Non c’è fretta>>, faccio io.
<<Anzi, certe cose devono decantare per essere più chiare>>. Ci
prepariamo un caffè, io vorrei chiederle del suo bere, però mi sembra
perfettamente sobria, e questo è già un successo. <<Non tengo più niente
in casa>>, fa la signora Celeste intuitiva. <<Così non mi prende la
voglia di buttare giù una sorsata ogni tanto>>. Sorrido, mi pare quasi
impossibile dover parlare di questo con una vicina di casa talmente a posto
come lei. <<Però qualche volta mi fermo in un localino lungo la strada, e
mi faccio servire qualcosa>>. Adesso la guardo, con un’espressione che
vorrebbe essere quasi di rimprovero. <<Signora Celeste, il problema è
dentro di sé, deve mettere un impegno maggiore se vuole uscire dai
guai>>. Lei butta giù il suo caffè, appoggia la tazzina sul tavolo, poi
fa: <<Oramai mi basta un solo bicchierino, anche meno, per sentirmi
subito un’altra>>. Poi si alza, sistema le tazze dentro al lavello.
<<Quando ho bevuto sto meglio, è questo il guaio>>. Stiamo ancora
qualche minuto sedute, senza parlare, poi io mi alzo, e dico che vado.
Quando poi sono da sola sul
pianerottolo, sento dei passi lungo le scale, al piano inferiore. Così mi
affaccio leggermente alla ringhiera. È il marito della signora Celeste che sta
rientrando. Mi prende la voglia di fermarlo e di dirgli tutto quello che so, ma
mi freno, non vorrei peggiorare le cose. Mi trattengo quasi immobile, lisciando
le foglie di una pianta che teniamo dentro un vaso. Lui arriva, sembra sorpreso
di vedermi, forse si immagina che io sappia già tutto.
<<Buonasera>>, mi fa, e nient’altro. <<Come si sente sua
moglie>>, chiedo io sfoderando un grande sorriso di circostanza. Lui alza
le spalle, pare quasi non sappia che dire, o che non voglia parlare. <<Al
solito>>, dice alla fine, tentando di non fermarsi neanche. <<Era
preoccupata per il vostro ragazzo minore>>, dico tanto per allungare il
discorso. Lui mi guarda come sapendo di recitare una parte, poi fa:
<<Però adesso Federico ha deciso di tornarsene a casa>>. Annuisco,
mostrando con evidenza che questo lo sapevo di già. <<E lei è rientrato
in ufficio>>, dico tanto per fargli capire con chi sta parlando. Lui
intanto ha tirato fuori le chiavi, è chiaro, vuole sbarazzarsi di me, ed io lo
lascio fare. Per il momento non ho delle vere domande da sottoporgli, ma un
giorno o l’altro gli chiederò qualcosa di più.
Lui chiude la porta di casa alle sue
spalle, mentre io sono ancora sopra al pianerottolo. Penso che qualsiasi donna
di famiglia come me possa trovarsi nelle condizioni della signora Celeste. Però
mi fa rabbia la sua incapacità di reagire. Vorrei sentire urlare qualche volta
in casa sua, che lei si ribellasse. Invece è solo succube del proprio bisogno
di famiglia, dell’amore per tutti in casa sua, della solidarietà che esprime
anche per gli sbagli che vi vengono commessi. Non so davvero cosa augurarle. Forse
che i suoi familiari ritrovino semplicemente la volontà di stare assieme.
Bruno Magnolfi
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