I
colleghi dicono che ormai sia soltanto una persona estremamente scostante,
anche se sostengono pure che lui non sia stato sempre così. Poco per volta,
affermano qualche volta tra loro, si è come andato a rinchiudere in sé stesso,
e se qualche anno fa ci potevi parlare di qualsiasi cosa senza problemi, adesso
prima di rivolgerti a lui devi pensarci, valutare bene le tue parole, e poi
porgli una questione della quale lui abbia piena certezza, altrimenti non
aprirà neppure la bocca. Si vede che non è una persona cattiva, che non sgomita
come invece fanno altri per mettersi in mostra, però la sua presenza in ufficio
spesso è inquietante, considerato che probabilmente all’interno del suo
silenzio, lui mette a punto delle opinioni su tutto e su tutti attorno a sé.
Loro aggiungono che non ha mai dato dei veri problemi, ha sempre svolto il suo
lavoro in maniera normale, senza brillare, d’accordo, ma anche senza bisogno di
farsi correggere. È il suo modo di stare in mezzo a tutti che è preoccupante:
mai una parola, una lamentela, un’espressione della faccia che dimostri un
pensiero su chi sta attorno a sé. Spesso sembra un automa solitario che lavora
e si occupa delle cose che gli vengono trasmesse, e poi basta. <<Come va
Achille>>, gli ha chiesto un suo collega di stanza quando è rientrato in
ufficio, dopo il periodo di malattia. E lui non ha risposto direttamente, si è
limitato a rivolgergli un’occhiata e a storcere la bocca, come per formare
un’espressione di accettabilità delle cose.
All’ora
di pranzo generalmente si limita a sedersi in disparte, nella piccola mensa
aziendale del piano terra, e consumare in fretta il suo pasto, quasi non
vedesse l’ora di sbarazzarsi di tutto e tornarsene a lavorare. Certo, adesso
non sembra neanche un parente di quello che scherzava con tutti e spiegava normalmente
il suo punto di vista; si capisce come la sua malattia depressiva lo abbia
segnato, però sembra quasi impossibile che non riprenda almeno in parte e un
poco per volta quei suoi atteggiamenti di una volta. Neppure l’impiegata del
secondo piano, per la quale un tempo nutriva una certa simpatia, tanto da
lasciare il sospetto in diversi colleghi che i due avessero una vera e propria
storia fuori dal luogo di lavoro, incontrandolo lungo le scale o
nell’ascensore, sembra abbia minimamente avuto il potere di scuoterlo dal suo
torpore. Lei, quando qualche volta lo vede, gli sorride, lo saluta, lo stimola,
ma per Achille non sembra avvenire niente di particolare in quell’attimo, e
forse si limita a rispondere in qualche modo a quel saluto, però utilizzando
soltanto una semplice e buffa smorfia del viso. Nessuno, tra tutti coloro che
svolgono il suo stesso lavoro nel palazzo di uffici, si aspetta che le cose
possano essere capaci di andare avanti così ancora a lungo. Deve sbloccarsi
quella sua personalità; Achille deve trovare la maniera di riferirsi a
qualcuno, di mettere a punto un dialogo, un modo per comunicare ad anima viva i
suoi malesseri attuali, sempre che ne abbia.
In
diversi hanno azzardato il parere che lui sia imbottito di psicofarmaci, ed il
suo comportamento sia solo frutto di reazioni chimiche che avvengono nel
proprio organismo durante tutta la giornata. A molti pare incredibile che un
individuo si possa ridurre così nell’arco di un periodo relativamente piuttosto
breve, ed alcuni, parlando di lui di fronte alle macchinette per il caffè,
hanno tirato fuori che forse, se non fosse parzialmente sedato, potrebbe
addirittura dimostrarsi pericoloso. Ma questo è da escludere, spiegano altri,
se non fosse così nessuno specialista della sua malattia avrebbe firmato una
liberatoria per farlo rientrare al lavoro e anche in seno alla società. E poi
si vede di lontano che Achille non farebbe mai del male neppure a una mosca.
Certo è che nessuno gli dà più confidenza, ed oltre a salutarlo semplicemente
all’inizio e alla fine dell’orario di lavoro, chiunque tra gli impiegati
d’ufficio lo tratta come una vera presenza inerte e praticamente quasi innocua.
Un paio di colleghi hanno addirittura sostenuto che dovrebbero riconoscergli
una pensione di invalidità e lasciarlo a casa, ma altri hanno alzato le spalle
per indicare l’assurdità di una simile idea.
In
questo modo vanno avanti le cose, e c’è chi si immagina un andamento delle
giornate a casa sua estremamente complesso, quasi una tortura per i familiari
di Achille. Sicuramente il suo è un comportamento passivo, praticamente
apatico, ed avere per casa un soggetto che non parla, non risponde, non fa
niente, e si limita a restare seduto senza espressione, non dev’essere certo
qualcosa di semplice da accettare. <<In ogni caso la vita di ognuno
riserva sempre delle sorprese>>, dice un collega. <<E se per Achille
nessuno si sarebbe mai atteso un processo involutivo del genere, quanto gli è
accaduto adesso sembra un monito per tutti. Quasi un mostrare che chiunque può
ritrovarsi da un attimo all’altro nelle sue stesse precise condizioni. Senza
poter fare niente>>.
Bruno
Magnolfi
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