mercoledì 6 novembre 2024

Giungere a desiderare.


            La domenica, nella tarda mattinata, vado sempre a fare una visita ai miei genitori. Per prima cosa faccio suonare brevemente il campanello dell’appartamento, poi però infilo la chiave nella serratura del portoncino, ed infine entro con calma e cortesia nella loro casa. Mia madre mi viene subito incontro lungo il corridoio riconoscendo benissimo i rumori che provoco ed il mio stile; mio padre, invece, generalmente resta seduto nel soggiorno a fingere di leggere il giornale o a guardare distrattamente qualcosa alla televisione, anche se poi mi stringe la mano, si alza sorridendo, e quindi mi assesta una leggera pacca sulla spalla, come per congratularsi con me di qualcosa che sa soltanto lui, evitando però di abbracciarmi, anche se probabilmente ne avrebbe anche la voglia, forse perché secondo il suo parere sarebbe questo un gesto troppo pacchiano e poco edificante, quasi come il mostrare del tutto scoperta una propria debolezza. Lo so, lo capisco benissimo quanto sia triste e grigio tutto questo, ma i miei si sono rapidamente abituati ormai a questo comportamento del loro unico figlio, ed è chiaro che adesso ci tengono moltissimo all’appuntamento domenicale, ed io non desidero in nessun modo rompere degli schemi ormai così assodati tra di noi. Resto a pranzo, naturalmente, e mia madre cerca sempre di proporre ogni volta i miei piatti preferiti; perciò, io mi trovo a rinnovarle i complimenti per la cucina, e quindi a mostrare la mia gratitudine ed il mio sincero apprezzamento, e le cose si ripetono volta dopo volta quasi identiche, senza alcuna novità o qualche semplice scossone. È una specie di piccolo teatro, dove ognuno conosce a menadito la propria parte, e sembra che nulla sia capace di scalfire questi comportamenti che teniamo tra di noi.

            Si parla poi del mio lavoro, dei colleghi d’ufficio, della mia coabitazione con Sergio, che loro conoscono naturalmente, ma che fin dall’inizio hanno cercato pacatamente di avversare, ed io mi mostro sempre tutto proteso a rassicurarli e a dissipare in loro ogni pur piccola preoccupazione, secondo quello schema ormai invariabile. Quindi tiriamo fuori qualche volta delle opinioni generali sulla vita politica della nazione, avanzando qualche commento generico, oppure sul vicinato che anche io conosco sin dal tempo in cui abitavo in quella casa, oppure su altre piccole faccende che riguardano il condominio o anche tutto il quartiere, spesso ripetendo impressioni e pareri già tirati fuori negli incontri precedenti. Certe volte mi piacerebbe avere qualche bella novità da portare nell’appartamento dei miei genitori, come parlare loro di un acquisto importante, chiedendone l’opinione, o di un’amicizia nuova da presentargli, oppure di un piccolo viaggio che magari vorrei intraprendere, ma è difficile immaginare a priori se davvero sarebbero contenti nel variare le calme chiacchiere a cui da tempo ci siamo tutti e tre abituati. Ho pensato qualche volta di cambiare il mio comportamento nei loro confronti, ma poi troverei davanti a me soltanto due musi lunghi, delle domande asciutte contenenti già un’opinione negativa, dei comportamenti da persone che stanno quasi per offendersi, così evito di variare ogni dettaglio, anche se ogni tanto un po’ mi pesa.  

            Mi sento nelle condizioni di chi fornisce esattamente ciò che gli viene richiesto, senza immettere nel proprio argomentare qualcosa di maggiormente personale, però ritengo che questa sia la maniera migliore per rassicurarli e farli stare bene. Comunque, credo che una di queste volte dovrò per forza parlare ai miei genitori di questa collega di lavoro, questa Monica che sembra non volermi più uscire dalla mente: si tratterà di farmi scappare dalla bocca il suo nome, quasi per caso, e poi spiegare superficialmente della nostra amicizia, niente di più. In seguito, potrei approfondire il tema, e forse attendere con calma qualche domanda di mia madre sul suo conto, che normalmente riesce a porre sempre dei piccoli quesiti molto a proposito, e così forse dilungarmi sulle doti e la simpatia di questa compagna d’ufficio, fino ad introdurla poco per volta all’interno dei discorsi di famiglia, e così incuriosire loro fino al punto di chiedermi di poterla conoscere, una volta o l’altra. Niente di male, credo, in fondo sarebbe il percorso migliore per dimostrare anche a Monica il mio progressivo attaccamento a lei, tanto che alla fine non ci sarebbe neppure necessità di grandi e improvvise decisioni per noi due, e tutte le cose verrebbero a snodarsi quasi da sole un po’ per volta. Mi sento bene, sono sincero, quando sto con lei; mi pare quasi che tutti gli anni che ho vissuto fino adesso non fossero altro che il semplice preludio a questa insperata conoscenza, a questa simpatia reciproca che spero possa presto sfociare anche in qualcosa di più tangibile. Ambedue abbiamo i nostri anni, e probabilmente, senza fare dei colpi di testa, potremmo renderci conto ben presto che può essere ancora apprezzabile un’esistenza in comune, e mettere su una relazione stabile tra di noi in questo momento è quanto di meglio si possa giungere a desiderare.

 

            Bruno Magnolfi       

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