La
domenica, nella tarda mattinata, vado sempre a fare una visita ai miei
genitori. Per prima cosa faccio suonare brevemente il campanello
dell’appartamento, poi però infilo la chiave nella serratura del portoncino, ed
infine entro con calma e cortesia nella loro casa. Mia madre mi viene subito incontro
lungo il corridoio riconoscendo benissimo i rumori che provoco ed il mio stile;
mio padre, invece, generalmente resta seduto nel soggiorno a fingere di leggere
il giornale o a guardare distrattamente qualcosa alla televisione, anche se poi
mi stringe la mano, si alza sorridendo, e quindi mi assesta una leggera pacca
sulla spalla, come per congratularsi con me di qualcosa che sa soltanto lui, evitando
però di abbracciarmi, anche se probabilmente ne avrebbe anche la voglia, forse
perché secondo il suo parere sarebbe questo un gesto troppo pacchiano e poco
edificante, quasi come il mostrare del tutto scoperta una propria debolezza. Lo
so, lo capisco benissimo quanto sia triste e grigio tutto questo, ma i miei si
sono rapidamente abituati ormai a questo comportamento del loro unico figlio, ed
è chiaro che adesso ci tengono moltissimo all’appuntamento domenicale, ed io
non desidero in nessun modo rompere degli schemi ormai così assodati tra di noi.
Resto a pranzo, naturalmente, e mia madre cerca sempre di proporre ogni volta i
miei piatti preferiti; perciò, io mi trovo a rinnovarle i complimenti per la
cucina, e quindi a mostrare la mia gratitudine ed il mio sincero apprezzamento,
e le cose si ripetono volta dopo volta quasi identiche, senza alcuna novità o qualche
semplice scossone. È una specie di piccolo teatro, dove ognuno conosce a
menadito la propria parte, e sembra che nulla sia capace di scalfire questi
comportamenti che teniamo tra di noi.
Si parla poi
del mio lavoro, dei colleghi d’ufficio, della mia coabitazione con Sergio, che
loro conoscono naturalmente, ma che fin dall’inizio hanno cercato pacatamente di
avversare, ed io mi mostro sempre tutto proteso a rassicurarli e a dissipare in
loro ogni pur piccola preoccupazione, secondo quello schema ormai invariabile.
Quindi tiriamo fuori qualche volta delle opinioni generali sulla vita politica
della nazione, avanzando qualche commento generico, oppure sul vicinato che
anche io conosco sin dal tempo in cui abitavo in quella casa, oppure su altre
piccole faccende che riguardano il condominio o anche tutto il quartiere,
spesso ripetendo impressioni e pareri già tirati fuori negli incontri
precedenti. Certe volte mi piacerebbe avere qualche bella novità da portare nell’appartamento
dei miei genitori, come parlare loro di un acquisto importante, chiedendone
l’opinione, o di un’amicizia nuova da presentargli, oppure di un piccolo viaggio
che magari vorrei intraprendere, ma è difficile immaginare a priori se davvero
sarebbero contenti nel variare le calme chiacchiere a cui da tempo ci siamo tutti
e tre abituati. Ho pensato qualche volta di cambiare il mio comportamento nei
loro confronti, ma poi troverei davanti a me soltanto due musi lunghi, delle
domande asciutte contenenti già un’opinione negativa, dei comportamenti da
persone che stanno quasi per offendersi, così evito di variare ogni dettaglio,
anche se ogni tanto un po’ mi pesa.
Mi sento
nelle condizioni di chi fornisce esattamente ciò che gli viene richiesto, senza
immettere nel proprio argomentare qualcosa di maggiormente personale, però
ritengo che questa sia la maniera migliore per rassicurarli e farli stare bene.
Comunque, credo che una di queste volte dovrò per forza parlare ai miei
genitori di questa collega di lavoro, questa Monica che sembra non volermi più
uscire dalla mente: si tratterà di farmi scappare dalla bocca il suo nome,
quasi per caso, e poi spiegare superficialmente della nostra amicizia, niente
di più. In seguito, potrei approfondire il tema, e forse attendere con calma
qualche domanda di mia madre sul suo conto, che normalmente riesce a porre
sempre dei piccoli quesiti molto a proposito, e così forse dilungarmi sulle
doti e la simpatia di questa compagna d’ufficio, fino ad introdurla poco per
volta all’interno dei discorsi di famiglia, e così incuriosire loro fino al
punto di chiedermi di poterla conoscere, una volta o l’altra. Niente di male,
credo, in fondo sarebbe il percorso migliore per dimostrare anche a Monica il
mio progressivo attaccamento a lei, tanto che alla fine non ci sarebbe neppure necessità
di grandi e improvvise decisioni per noi due, e tutte le cose verrebbero a
snodarsi quasi da sole un po’ per volta. Mi sento bene, sono sincero, quando
sto con lei; mi pare quasi che tutti gli anni che ho vissuto fino adesso non fossero
altro che il semplice preludio a questa insperata conoscenza, a questa simpatia
reciproca che spero possa presto sfociare anche in qualcosa di più tangibile.
Ambedue abbiamo i nostri anni, e probabilmente, senza fare dei colpi di testa,
potremmo renderci conto ben presto che può essere ancora apprezzabile
un’esistenza in comune, e mettere su una relazione stabile tra di noi in questo
momento è quanto di meglio si possa giungere a desiderare.
Bruno
Magnolfi
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